mercoledì 17 agosto 2016

La gloria morale del Signore Gesù Cristo (parte 2a)






La gloria morale del Signore Gesù Cristo


«Quando qualcuno offrirà all’Eterno un’oblazione, la sua offerta sarà di fior di farina, su cui verserà dell’olio, e vi aggiungerà dell’incenso. La porterà ai sacerdoti figli d’Aaronne; il sacerdote prenderà una manciata piena del fior di farina spruzzato d’olio, con tutto l’incenso, e farà bruciare ogni cosa sull’altare, come ricordo. Questo è un sacrificio di profumo soave, consumato dal fuoco per l’Eterno». Levitico 2:1-2 
2a Parte

23. Egli è lo stesso prima e dopo la risurrezione

Il tempo non opera nessun cambiamento nel Signore. Gli stessi esempi di grazia e di carattere, prima e dopo la Sua risurrezione, dimostrano l’esistenza di questa verità, che è così importante per noi. Sappiamo ciò che Egli è in questo momento, e ciò che sarà per sempre, da quello che fu già; sia in carattere, come in natura — in relazione a noi come a Sé stesso — «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno» (Ebrei 13:8). Soltanto il menzionare una tal cosa è già atto a confortarci; noi che alle volto siamo afflitti dai cambiamenti, ed altre volte li desideriamo, facendo così l’esperienza in varie guisa dell’incostanza di quella natura che costituisce la vita umana. Non sono soltanto le circostanze che variano ad ogni piè sospinto, ma le relazioni, le amicizie, le affezioni ed i caratteri sono soggetti a continui cambiamenti che ci sorprendono e ci affliggono.
Corriamo a precipizio da uno stadio della vita ad un altro, ma è rarissimo che le nostre affezioni non perdano quell’intensità o quella purezza che avevano una volta; sia che si tratti di noi, come dei nostri compagni di pellegrinaggio. Ma Gesù dopo la risurrezione fu il medesimo di prima, quantunque gli ultimi avvenimenti abbiano posto i discepoli ad una tal distanza da Lui, che non fu mai conosciuta tra compagni, o che non potrebbe esserlo. I discepoli avevano mostrato apertamente l’infedeltà e l’incostanza dei loro cuori, abbandonando e fuggendo il loro Maestro nell’ora della sua debolezza e della sua angoscia; mentre Egli per l’amore che nutriva verso di loro andò fino alla morte, a quella morte che non avrebbe potuto essere affrontata da nessun’altro, senza essere annientato. Dopo questa morte, i discepoli continuavano ad essere dei poveri e deboli Galilei, mentre Egli stava per essere glorificato con gran potenza nel cielo e sulla terra!
Ma tutto ciò non produsse il minimo cambiamento — «né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura», dice l’Apostolo, «potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore». L’amore affronta tutto, ed Egli ritornò ai Suoi discepoli come quel Gesù che essi avevano conosciuto prima. Egli continua ad essere il loro compagno d’opera dopo la Sua risurrezione, anzi, dopo la Sua ascensione al cielo, come lo fu nei giorni del Suo ministero durante il Suo soggiorno quaggiù con loro: questo si vede negli ultimi versetti di Marco.
Là, in sul lago (Matteo 14), i discepoli credettero di vedere un fantasma e gridarono dallo spavento; ma il Signore fece loro subito conoscere che era Egli stesso che era là vicino; e ciò in grazia, quantunque fornito della forza divina e della sovranità sopra la natura. Così in Luca 24, dopo che Egli fu risorto, prese il fiale di miele col pesce arrostito, e mangiò in loro presenza, affinché potessero convincersi con piena certezza di cuore che Egli era Lui in persona. Inoltre avrebbe voluto che lo guardassero e lo toccassero, dicendo loro che uno spirito non aveva carne, né ossa come aveva Lui, e del che essi potevano facilmente persuadersi.
Nel capitolo 3 di Giovanni introduce nella via della verità un dottore d’Israele, che era tutto quanto avviluppato dalle tenebre, mostrando verso lui una gran pazienza e grazia. Così fece pure in Luca 24, dopo la Sua risurrezione, con quei due discepoli tardi di cuore mentre andavano ad Emmaus.
In Marco 4 volendo rimproverare l’incredulità dei Suoi, ha cura di calmarne prima i timori; Egli sgrida il vento ed ordina al mare di star cheto, poi dice loro : «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» Così fa in Giovanni 21 dopo che fu risuscitato dai morti: Egli siede a mangiare con Pietro in piena e libera comunione come se nulla fosso avvenuto in quella terribile sera, là nel cortile del sommo Sacerdote; poi tocca un argomento delicato per il Suo discepolo e atto a risvegliare la sua coscienza, dicendogli per ben tre volte : «Simone di Giona, mi ami tu?...»
Quando viene raccontata l’appariziono di Gesù risuscitato a Maria Maddalena, l’evangelista non dimentica di dirci che era il medesimo che aveva scacciato da essa i sette demoni; e Maria conobbe subito quella voce che la chiamò per nome, avendo l’orecchio familiare ad essa già da lungo tempo. — Quale identità vi è tra il Cristo umiliato e glorificato, il Salvatore dei peccatori, ed il Signore del mondo avvenire! — Tutto ci dice che, sia nel carattere come nella gloria personale e divina, Colui che discese è lo stesso che salì al cielo. Anche Giovanni, trovandosi col Signore risuscitato, ci vien presentato per il discepolo che durante la cena era coricato sul seno del suo Maestro (Giovanni 21:20).
E quando Saulo di Tarso, tutto sbigottito nel vedere quella luce a sfolgorargli d’intorno, domandò: «Chi sei, Signore?» Colui che era nell’alto dei cieli, alla destra del trono della maestà, rispose semplicemente: «Io sono Gesù... » (Atti 9).
Questo è anche applicabile a noi personalmente e c’interessa davvicino. Pietro riconobbe, in quanto a lui, che il Suo Maestro era lo stesso, tanto prima come dopo la risurrezione: in Matteo 16 egli è rimproverato dal Signore; ma subito dopo viene condotto con Lui sul monte santo in piena libertà di cuore, come se avesse fatto nulla di riprovevole. E così avvenne allo stesso Pietro in Giovanni 21, dov’è nuovamente censurato: secondo la sua abitudine, egli volle immischiarsi in cose alle quali doveva rimaner estraneo; e vedendo Giovanni, disse a Gesù: «Signore, e di lui che sarà?». Ma il Maestro lo rimproverò di nuovo col dirgli: «Che t’importa?» Però ad onta di questo rimprovero, per duro e perentorio che fosse, vediamo che egli è unito a Giovanni nell’accompagnare il Signore che stava per salire al cielo. Di modo che fu Pietro rimproverato che un giorno salì col Signore sul monte santo; ed è Pietro rimproverato, lo stesso Pietro, che ora va col Signore al cielo; una seconda volta al monte della gloria, al monte della trasfigurazione.
Che potente consolazione vi troviamo in ciò! Noi abbiamo Gesù, il nostro Signore; che è lo stesso ieri, oggi ed in eterno! — lo stesso nei giorni del Suo ministero, dopo la Sua risurrezione, ora che è salito nei cieli; e ciò per sempre! — E siccome Egli ha lo stesso carattere e si manifesta sempre con la stessa grazia, tanto prima come dopo la risurrezione, così Egli adempierà tutte le promesse che ha fatto ai Suoi discepoli.
Che sia detto da Lui o dai Suoi angeli, il motto: «Non temere» vale tanto adesso come allora, tanto dopo la risurrezione come prima della Sua morte. Prima di morire promise ai Suoi discepoli di dar loro la Sua pace; e vediamo infatti che la diede di poi nel modo più splendido e solenne. Egli adempi la Sua promessa in Giovanni 20 dopo che fu risorto, dicendo: «Pace a voi!» e detto questo mostrò le Sue mani ed il Suo costato, ove con simbolico linguaggio essi potevano leggere che questa pace fu loro comprata da Lui stesso, che era la Sua pace, veramente la Sua, acquistata unicamente da Lui, e che era divenuta la loro proprietà per un irrevocabile ed indiscutibile diritto.
Nei giorni trascorsi il Signore aveva loro detto: «voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete» (Giovanni 14:19); ed ora nei giorni della Sua risurrezione, nei giorni dell’Uomo risuscitato, che è vittorioso della morte ed in possesso della vita, Egli comunica loro questa vita nella più ampia misura, soffiando su di loro e dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo» (Giovanni 20:22).
Aveva detto che il mondo non l’avrebbe più veduto, ma che essi l’avrebbero veduto ancora; e così avvenne. Essi lo videro ancora per quaranta giorni, e l’udirono a parlare delle cose che riguardavano il regno di Dio; ma tutto ciò fu in segreto: il mondo non lo vide più dal momento che lo crocifisse sul Calvario, e non lo vedrà più finché venga nel giorno del giudizio.
Una testimonianza semplice ed umile ad un tempo della fedeltà alle Sue promesse l’abbiamo nel convegno che Egli dà ai Suoi discepoli in Galilea, in adempimento di ciò che aveva detto prima; ed un’espressione ancor più viva della stessa fedeltà l’abbiamo nel fatto che Egli li conduce fino al Padre nel cielo, come aveva anche promesso, mandando loro il messaggio che Egli saliva al Padre Suo ed al Padre loro, al Dio Suo ed al Dio loro. Quindi, sia che si si trattasse della Galilea sulla terra, o della Sua propria casa nel cielo, ove disse che l’avrebbero veduto, in entrambi i casi la Sua promessa fu compiuta. Quanto a noi, meditiamo un poco sulla condiscendenza, sulla perfezione, sulla semplicità e sulla grandezza di tutto ciò che traccia il Suo cammino quaggiù; ed inchiniamoci dinanzi a tanta nobiltà di sentire ed a tanta fedeltà nell’operare.
Il Signore ebbe molto a fare con Pietro mentre ministrava tra i Suoi discepoli; e vediamo la stessa cosa dopo che Egli è risorto dai morti. Pietro occupa da solo, per così esprimermi, l’intero capitolo 21 dell’evangelo di Giovanni, dove il Signore continua in lui l’opera della grazia che aveva incominciata prima che lo lasciasse, e la riprende esattamente nel punto in cui era rimasto. Pietro aveva mostrato d’avere una gran confidenza in sé stesso, quando disse : «Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me... Quand’anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Ma il Signore gli aveva parlato della vanità del suo vanto, dicendogli anche che Egli avrebbe pregato per lui affinché la sua fede non venisse meno; e quando i fatti ebbero dimostrato che questo suo modo di parlare non era altro se non vanità, e che Pietro rinnegò il suo Signore perfino con un giuramento, allora il Signore lo guardò, e questo sguardo produsse il suo benefico effetto. La preghiera e lo sguardo valsero molto per l’infelice discepolo: la preghiera impedì che la sua fede venisse meno, e lo sguardo ruppe il suo cuore in pianto. Pietro non fuggì, ma pianse, e «pianse amaramente».
Ebbene, come abbiamo detto, in principio del capitolo 21 di Giovanni, troviamo Pietro nella stessa condizione, dove fu posto da quella preghiera e da quello sguardo. Che la sua fede non sia venuta meno viene provato dal fatto che appena sente che il Signore è sulla riva del lago, si precipita nell’acqua por correre al Suo incontro. Però non agisce come penitente, o come qualcuno che non abbia ancora versato delle lacrime, ma come uno che poteva andare a Gesù in piena confidenza e libertà di cuore; e come tale il Suo benedetto Signore lo riceve, ed entrambi mangiano sulla riva. La preghiera e lo sguardo avevano già avuto il loro effetto su Pietro, e non dovevano ripetersi. Ciò che fa ora il Signore si è di continuare l’opera che aveva cominciata e condurla alla perfezione; quindi alla preghiera ed allo sguardo fa seguire la parola. La riabilitazione viene sempre dopo la convinzione d’aver peccato e dopo il relativo pentimento. Pietro aveva versato delle lacrime, ed ora vien posto nella posizione di fortificare i suoi fratelli, come il Signore gli aveva innanzi promesso; ed ora gli vien annunziato che egli dovrà glorificare Dio con la sua morte, privilegio che egli aveva perduto per la sua incredulità e per il suo rinnegamento.
Questo è la parola di ristoro che fa seguito alla preghiera che già sostenne la fede di Pietro, ed allo sguardo che già ruppe il suo cuore. In Giovanni 13 il Signore aveva detto a questo suo amato discepolo, che chi è lavato, non ha bisogno se non di lavare i piedi; ed ora agisce con lui perfettamente come aveva insegnato. Non lo lascia fare una seconda volta l’ esperienza del capitolo 5 di Luca, dove per la pesca miracolosa egli conosce che è un peccatore, ma quivi gli lava i piedi, lo ristora e lo mette di nuovo nella posizione voluta (Giovanni 21:15-17).
Maestro perfetto! — sempre lo stesso per noi ieri, oggi ed in eterno; lo stesso in grazia, perfetto nel Suo immenso amore. Egli continua l’opera che aveva già cominciata, e come Signore risuscitato, riprende il servizio che aveva lasciato incompleto quando fu tolto d’infra i Suoi; e lo riprende al medesimo punto dov’era rimasto, riannodando così il passato col presente nella pienezza della Sua grazia e capacità!
Andando un po’ più innanzi, noi vediamo ancora come Egli adempiva alle Sue promesse; voglio alludere specialmente ad una che fece dopo la Sua risurrezione, quella che chiamò «la promessa del Padre» e «la potenza dall’alto». Essa fu fatta in Luca 24 dopo la Sua risurrezione, e fu adempita negli Atti 2 dopo che fu salito al cielo e glorificato. Ciò continua la storia mai interrotta e la testimonianza della Sua fedeltà. Tutto testimonia di Lui : la vita che passò in sofferenze, le relazioni che ebbe con i Suoi dopo la Sua risurrezione, e quel che ha fatto dopo che è salito al cielo — tutto dice che presso di Lui non c’è alcun mutamento né ombra di rivolgimento (Giacomo 1:17).
Non vorrei lasciar passare inosservata un’altra prova di questo fatto che abbiamo nel già citato capitolo 24 di Luca, dove il Signore riconosce che i Suoi discepoli occupano lo stesso posto che avevano allorché ricevettero le prime istruzioni. «Queste sono le cose» Egli dice, «che io vi dicevo quand’ero ancora con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi». Egli ricorda loro che fin d’allora aveva loro detto che la Scrittura era la gran testimonianza dei pensieri di Dio, e che tutto quello che stava scritto in essa doveva per certo avere il suo adempimento. Ed ora che fa Egli? Continua in modo semplice e naturale i Suoi ammaestramenti. — «Allora aprì loro la mente per capire le Scritture». La Sua potenza presente si unisce ai Suoi anteriori insegnamenti, e così compie in loro ciò che aveva già cominciato a comunicare (*).
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(*) Dirò a nostra consolazione che, dopo la Sua risurrezione, Egli non ricordò mai ai Suoi discepoli che l’àvevano abbandonato nel momento della distretta. 
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Percorrendo gli evangeli, noi vediamo che la natura e lo spirito della Sua relazione con i Suoi discepoli durante i quaranta giorni dopo la Sua risurrezione sono, in un certo senso, quelli che aveva prima della Sua morte. Egli li chiama per nomecome aveva fatto prima; si manifesta a loro negli stessi modi; siede a tavola come padrone di casa, quantunque sia soltanto un invitato, come aveva già fatto altre volte (Giovanni 2; Luca 24); e nell’interno dei loro pensieri e l’intelligenza del momento, i Suoi discepoli consideravano la Sua presenza come già fecero in Giovanni 4 al pozzo di Sichar. Là, non osavano parlare, e se ne stavano in disparte silenziosi; così vediamo in Giovanni 21 che, dopo la pesca miracolosa, nessun di loro ardisce parlare, giudicando più conveniente di dire soltanto poche parole, quantunque i loro cuori siano pieni di gioia e di stupore.
Quali legami teneri e potenti nello stesso tempo ci sono mai tra Colui che abbiamo conosciuto nelle comuni circostanze della vita, e Colui che conosceremo per tutta l’eternità! — Egli venne quaggiù nelle nostre circostanze, per quindi introdurci nelle Sue; ma è qui, nelle nostre circostanze, dove abbiamo imparato a conoscerlo, a conoscerlo per sempre. Questo è una preziosa verità a cui Pietro rende testimonianza. Io ho considerato questa scena di Giovanni 21 avendo già un altro scopo, passo ora a considerarla una seconda volta.
Nella pesca che vediamo prima della risurrezione in Luca 5, Pietro fu convinto di peccato: Pietro il pescatore diventò ai propri occhi Pietro il peccatore. Il miracolo veduto, dimostrandogli che lo straniero che era salito nella sua barca era il Signore di tutti i mari, lo condusse in spirito alla presenza di Dio, e là avendo conosciuto sé stesso, disse: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore!» Ed invero nessuno di noi ha imparato questa lezione in un altro modo. Ma il Signore immediatamente lo confortò dicendogli: «Non temere», e Pietro fu rassicurato. La presenza di Dio, che prima l’aveva convinto di peccato, ora è divenuta un luogo di rifugio per lui, ed egli vi sta in perfetta sicurezza di cuore. Così vediamo nella seconda pesca miracolosa (Giovanni 21), dopo la risurrezione, che Pietro era sempre tranquillo, e non gli rimaneva se non di mettere in pratica la lezione che avi di già appresa, il che fece esperimentando che la presenza del Signore della gloria era per lui un ricovero sicuro. Egli prova per sé stesso e testimonia a noi, che ciò che ha imparato da Gesù, l’ha imparato per sempre. Egli non aveva riconosciuto quello straniero che stava sulla riva del mare; ma appena Giovanni gli dice che è Gesù, lo straniero cessò immediatamente d’essergli tale e gli si avvicinò il più che poté ed il più presto possibile.
Quale consolazione c’è in questo! — Se è incoraggiante per noi il sapere che Gesù è sempre lo stesso, tanto qui come lassù nel cielo, tanto nel nostro mondo come nel Suo, tanto nelle nostre misere circostanze come nella Sua gloria, qual gioia sarebbe mai se qualcuno di noi esperimentasse, come fece Pietro, la beatitudine di un tal fatto nel suo proprio spirito!
Sì, Gesù è veramente sempre lo stesso — fedele e veritiero! Tutto le promesse che fece allorché soffriva, le adempì dopo essero risorto; ed i diversi caratteri che rivestì quaggiù, li riveste ora nel cielo.

24. Conoscerlo come colui che dà

Il Signore dava del continuo, ma raramente approvava; ovunque Egli trovasse che una debole comunione, faceva grandi comunicazioni, il che serve ad illustrare magnificamente la Sua bontà. C’era nulla che Lo attraesse, eppure Egli impartiva continuamente del bene. Egli fece come il Padre che è nel cielo, il quale fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi; e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Questo c’insegna ciò che Egli è, alla Sua lode; e c’insegna pure ciò che noi siamo, a nostra onta.
Gesù però non fu solo la manifestazione del Padre per mezzo delle Sue opere, ma fu pure «il Dio sconosciuto», del quale Paolo parlò agli Ateniesi. Le tenebre non Lo compresero; ed il mondo, né per la sua religione, né per la sua sapienza, non Lo conobbe. L’abbondante ricchezza della Sua grazia, la purezza del Suo regno, le basi su cui doveva unicamente poggiare la gloria che Egli cercò invano in questo mondo, tutto era strano ai pensieri dei figli degli uomini, il che si vede nei grandi orrori morali che commettevano continuamente. Quando, per esempio, la moltitudine salutava con entusiasmo il Re nella Sua persona, e l’avvenimento del regno (Luca 19), i Farisei gli dicono subito: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!» Essi non avrebbero potuto sopportare il pensiero che il trono di Davide appartenesse ad un tal Uomo; ed era una presunzione, secondo loro, che questo Gesù di Nazaret permettesse che l’aureola reale venisse a circondarlo. Essi non conoscevano, non avevano voluto conoscere il segreto del vero onore in mezzo a questo mondo bugiardo e decaduto. Essi non avevano imparato a distinguere il mistero della «radice che esce da un arido suolo», né i loro spiriti avevano percepito «il braccio dell’Eterno» (Isaia 53). È soltanto dove il Suo Spirito conduce il cuore che si impara a scoprire le cose che vennero dette di Lui — cose dolci e varie secondo la loro misura.

25. Conoscerlo e comprenderlo

Nel capitolo 1 di Marco, molti approfittano del Suo ministero di grazia e di potenza; gente con ogni sorta di malanni viene a Lui; la folla lo ascolta e confessa la Sua antorità: ed un lebbroso si reca a Lui con la sua lebbra riconoscendolo come il Dio d’Israele. C’era dunque, in diversi gradi, una certa qual conoscenza di Gesù, sia intorno a quel che era, come intorno a ciò che possedeva; ma entrando nel capitolo 2 vi troviamo una conoscenza più estesa e che si esprime in un modo più ampio e più brillante: vi troviamo esempi di quella fede che Lo comprese, e ciò è quanto vi ha di più profondo.
Quegli uomini di Capernaum che portano il loro paralitico fino a Gesù, lo capiscono e si valgono della Sua virtù; lo capiscono in Sé stesso, nel Suo carattere, nelle abitudini o nei sentimenti della Sua mente. Il modo con cui essi cercano di avvicinarlo ce lo dimostra: non si vede né quella riservatezza, ni quel dubbio, né quel timore che c’era generalmente in coloro che andavano per chiedergli qualche benedizione; ma c’è piuttosto ciò che vi fu in Giacobbe allorché disse all’Angelo col quale lottava: «Non ti lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!» (Genesi 32:26). Un tal modo di fare è sempre più gradevole al Signore che la titubanza, e corrisponde maggiormente a ciò che l’amore ci ha recato. Essi non chiedono permesso alcuno, non fanno cerimonie di sorta, ma scoprono il tetto della casa, e scendono a Lui. Mostrano con ciò di conoscerlo e d’essere penetrati da quel sentimento che Egli si diletta nel vedere qualcuno che ha confidenza nella Sua grazia e che ricorre alla Sua potenza ogni volta che si trova nel bisogno. Così fa Levi pochi momenti dopo, come si vede dallo stesso capitolo: dà un pranzo, e fa sedere dei pubblicani e dei peccatori in compagnia di Gesù. Si vede da ciò che Leviconosceva il Signore; sapeva chi ospitava, nello stesso modo che Paolo sapeva a chi aveva creduto (2 Timoteo 1:12).
Questa conoscenza del Signore Gesù ha veramente un gran pregio — essa procede da Dio! La carne ed il sangue non possono darla, ed i Suoi parenti stessi non la possedevano, poiché mentre Egli era tutto intento al servizio, essi dicevano: «Egli è fuori di sé» (Marco 3:21). Ma la fede scopriva in Lui un tesoro inesauribile ed agiva in conseguenza della sua scoperta. Può sembrare alle volte che essa ci conduca oltre i limiti convenevoli spingendoci a far cose che comunemente non si fanno; ma secondo il pensiero di Dio questo non avviene giammai. La moltitudine disse ben a Bartimeo di tacere, ma egli non tacque perché conosceva Gesù come lo conosceva Levi il pubblicano (Marco 10).

26. Il bene dell’uomo e la gloria di Dio

La pienezza dell’opera di Cristo oltrepassa ogni umano concetto; eppure è là che consiste la Sua gloria. Egli viene a noi nella nostra profonda miseria, ma nello stesso tempo vi introduce Dio; Egli guarisce gl’infermi ma predica anche il regno; e ciò non conviene all’uomo. Strano a dirsi! — l’uomo sa benissimo apprezzare i suoi propri vantaggi; sente a parlare con piacere della gioia della nuova natura, ma è tanta l’inimicizia della mente carnale contro a Dio, che se la benedizione viene accompagnata dalla Sua presenza, non è accettata. Ma lo scopo di Cristo essendo tanto la gloria di Dio come la salvezza del povero peccatore, questa benedizione non può giungere all’uomo in altra forma. Dio è stato disonorato in questo mondo nello stesso modo che l’uomo fu rovinato — rovinato da sé stesso; ed il Signore che vuol riparare la breccia, compie un’opera perfetta che vendica il nome e la verità di Dio, annunziando il regno ed i Suoi diritti; e manifesta la Sua gloria col redimere e vivificare un povero peccatore morto nei suoi falli e nei suoi peccati.
Questo non piace all’uomo: egli vorrebbe occuparsi di sé stesso, e lasciare la gloria di Dio il più lontano che sia possibile. Ma è consolante invece quando si vede un peccatore qualsiasi essere rinnovato per la fede, e reso capace di rallegrarsi in questa gloria trascurata dalla maggior parte degli uomini: ne abbiamo un esempio nella donna Sirofenice. La gloria del ministero di Cristo agì potentemente sull’anima sua; ma, apparentemente, malgrado l’afflizione di questa donna, il Signore Gesù mantiene i principi di Dio e la rimanda come una straniera. «Io non sono stato mandato», dice Egli, «che alle pecore perdute della casa d’Israele... Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini» (Matteo 15:24,26). Ma essa si sottomette a questo linguaggio duro, riconosce il Signore per il dispensatore della verità divina, e non vuol supporre per un solo istante che egli abbandoni un simile incarico (la verità e i principi di Dio) per lei e per le sue necessità. Anzi essa vuole che Dio sia glorificato secondo i Suoi propri consigli, che Gesù ne continui la fedele testimonianza, e che Egli sia sempre il servitore della benevolenza di Dio. «Dici bene, Signore», essa risponde, approvando tutto ciò che Egli le aveva detto; ma come naturale conseguenza aggiunge: «eppure anche i cagnolini mangiano delle brìciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (Matteo 15:27).
Tutto ciò è molto bello; è il frutto della luce divina nell’anima sua; e la madre di Gesù nel capitolo 2 di Luca è interamente al disotto di questa povera Gentile. Maria non seppe distinguere che Gesù attendeva alle cose del Padre Suo; mentre questa straniera conobbe che Egli se ne occupava continuamente, ed avrebbe voluto che le vie di Dio fossero esaltate per la fedeltà di Gesù, quantunque essa stessa fosse stata messa a parte in un momento di distretta.
Questo è una vera conoscenza di Cristo nella pienezza dell’opera Sua, vedendo in Lui quello che è venuto tanto per mantenere i diritti di Dio in un mondo ribelle, come per rispondere ai bisogni d’un povero peccatore perduto.

27. Straniero in questo mondo

Non è bene d’essere sempre compresi. La nostra condotta e le nostre abitudini dovrebbero essere quelle di gente straniera, di cittadini d’un lontano paese, la lingua, le leggi ed i costumi dei dei quali sono ben poco conosciuti quaggiù. La carne ed il sangue non possono apprezzarli, quindi non è indizio di prosperità spirituale per i santi di Dio ogni volta che il mondo li capisce.
I parenti stessi di Gesù non Lo conoscevano. Ed infatti: Lo conobbe forse Sua madre quando gli chiese di spiegar la Sua potenza nel procurare vino per continuare la festa delle nozze in Cana di Galilea (Giovanni 2)? Lo conobbero forse i Suoi fratelli quando gli dissero: «Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo» (Giovanni 7:4)? Quale pensiero!
Essi si sforzavano per indurre il Signore Gesù ad essere, come si suol dire, «un uomo del mondo»! In cuori che avevano simili pensieri vi poteva mai essere una vera conoscenza della Sua augusta Persona? — Essi ne erano lontani le mille miglia, e perciò l’evangelista vi aggiunge immediatamente: «Poiché neppure i suoi fratelli credevano in lui» (Giovanni 7:5). Conoscevano la Sua potenza, ma non i Suoi principi; poiché uniformandosi alla consuetudine umana, essi univano la potenza e la capacità intelletuale con l’idea di doversene servire per l’interesse dell’uomo in questo mondo.
Non è però necessario il dire che Gesù era l’opposto di tutto questo, e che quindi i Suoi parenti secondo la carne, guidati dallo spirito di questo mondo, non potevano comprenderlo. I suoi principi erano estranei ad un tal mondo, e venivano sprezzati come lo venne Davide dalla figlia di Saul, quando ballava dinanzi all’arca del patto.
Ma quale attrattiva c’era in Lui per ogni occhio ed ogni cuore che fosse stato aperto dallo Spirito Santo! — Ne abbiamo un esempio negli apostoli: essi dottrinalmente Lo conoscevano pochissimo, e guadagnavano nulla di stare con Lui, nulla, cioè, di questo mondo. La loro condizione sociale non fu migliorata dalla Sua compagnia, e non si può dire che essi si valessero della Sua miracolosa potenza; ne dubitavano piuttosto, ma non ne usavano; e con tutto ciò erano attaccati a Lui. Essi non Lo seguivano già perché vedessero in Lui una fonte inesauribile che provvedeva a tutti i loro bisogni: anzi si può dire non si servirono mai della Sua potenza per loro stessi. E sì che erano con Lui, che si contristavano quando parlava di abbandonarli e che piansero quando pensarono d’averlo veramente perduto.
Sì, lo ripetiamo: quale attrattiva vi doveva essere in Lui per ogni occhio e per ogni cuore che fosse stato aperto dallo Spirito o condotto dal Padre! E con quale autorità certe volte uno sguardo od un motto produsse l’effetto desiderato! Lo vediamo in Matteo, ove bastò che il Signore pronunziasse una sola parola: «Seguimi!» E tale autorità ed attrattiva erano sentite da caratteri affatto opposti; tanto dal pusillanimo Tomaso, che desiderava sempre ragionare, come dall’ardente Pietro, che agiva di primo impulso e spesso con imprudenza. Tomaso poi nel trovarsi in un ambiente così meravigliosa, respira, direi quasi, quello spirito di zelo che distingueva Pietro, e spinto dalla forza di questa attrazione, è costretto a dire: «Andiamo anche noi, per morire con lui!» (Giovanni 11:16).
Cosa sarà quando anche noi vedremo e sentiremo tutto ciò nella sua perfezione? — Quando tutta l’umana famiglia, quando popoli d’ogni clima, d’ogni colore, d’ogni carattere, d’ogni nazione, d’ogni lingua, saranno riuniti attorno al Signore in un mondo degno di Lui? Noi dobbiamo ricordarci di questi saggi della sua preziosità verso dei cuori simili al nostro, e ritenerli come un’arra sicura di ciò che forma l’oggetto continuo della nostra speranza.

28. Fonte di luce

La luce di Dio brilla alle volte dinanzi a noi, guidandoci, secondo la forza che abbiamo, onde noi possiamo discernerla, gioirne, usarla e seguirla. Essa non soltanto ci scruta od esige qualcosa da noi; ma, come dissi, brilla agli occhi nostri, acciocché noi possiamo rifletterla, secondo la grazia che ci è stata data. Vediamo che compie l’opera sua nella primitiva Chiesa di Gerusalemme in questo modo; in quel luogo la luce di Dio non esigeva nulla, ma brillava potente nel suo magnifico splendore; e questo è tutto. Pietro parlò il linguaggio di questa luce quando disse ad Anania :«Se questo non si vendeva, non restava tuo? E una volta venduto, il ricavato non era a tua disposizione?» (Atti 5:4). Essa non chiese nulla ad Anania, ma brillò semplicemente nella sua bellezza accanto a lui o dinanzi, affinché potesse camminare nel suo splendore secondo la sua misura. Tale è, in un senso più vasto, la gloria morale del Signore Gesù; ed il nostro primo dovere riguardo a questa gloria è d’imparare da essa cosa Cristo sia. Non dobbiamo cominciare con ansiosità o timore a misurarci di fronte al suo abbagliante splendore, ma con calma, con grazia, e con rendimenti di grazie dobbiamo studiare tutte le perfezioni morali della Sua umanità. È vero che questa gloria ci ha lasciati, ora non vi è più la Sua immagine vivente sulla terra; ne abbiamo bensì le tracce negli Evangeli, però in nessun luogo noi vi troviamo la sua luce!
Ma quantunque Egli non sia più qui, pure è rimasto precisamente ciò che Egli era. Noi dobbiamo conoscerlo, per così dire, dalla storia; e la storia non è capace di tesserci delle favole, ma si trattiene su cose viventi e vere, e così noi conosciamo Cristo per l’eternità.

29. Centro di attrativa

I discepoli conoscevano personalmente il Signore in un modo eminente; era la Sua persona, la Sua presenza, Lui stesso che li attraeva; è appunto di questo che abbiamo maggiormente bisogno. Noi abbiamo un bel mostrarci affaccendati per istruirci riguardo alle Sue verità, e possiamo benissimo far dei progressi in ciò; ma con tutta la nostra conoscenza, se si tratta della potenza d’una vera affezione verso di Lui, i discepoli con tutta la loro ignoranza ci lasciano di gran lunga indietro. Certamente, cari fratelli, non dobbiamo tacere che è sol quando il nostro cuore sorpassa in affezione la conoscenza, che noi possiamo renderci conto di Lui; è soltanto allora che impariamo veramente a conoscerlo. V’è ben ancora qualche anima semplice che mostra di possedere una tal cosa; ma generalmente non è così. Nei nostri tempi la luce che possediamo e la conoscenza che abbiamo della verità sorpassano di molto l’affezione che dimostriamo per il Signore; e ciò è doloroso per chiunque abbia ancora un po’ di sensibilità a tal riguardo.
«Il privilegio della nostra fede cristiana,» dice qualcuno, «ed il segreto della sua forza sta in ciò: che tutto quello che ha, e tutto quello che offre, è concentrato in una persona. Ecco ciò che le ha dato forza, mentre molte altre cose hanno mostrato la loro debolezza: che essa, cioè, ha Cristo come perno, che non ha circonferenza senza avere un centro; che essa non ha soltanto la liberazione, ma che possiede il Liberatore; non solo la redenzione, ma anche il Redentore. Questo è quanto la rende appropriata per dei pellegrini come noi; questo è ciò che la rende chiara come la luce del sole, e che fa apparire ogni altra paragonata ad essa come una luce riflessa, la quale può esser bella, ma fredda ed inefficace, mentre qua la luce e la vita sono una medesima cosa». Ed altrove lo stesso autore dice: «Oh qual’immensa differenza vi è tra il sottometterci ad un codice di regole e l’abbandonarci liberamente in un cuore che palpita per noi, fra l’accettare un sistema ed attaccarci ad una persona! La nostra benedizione — e non dimentichiamolo — sta nell’avere tutti i nostri tesori accumulati in una persona, la quale non è soltanto il maestro ed il Signore vivente per una generazione, restando morto per quelle che seguono, ma che è presente e vivente per tutte le generazioni». Secondo me, queste parole sono buone e degne di ogni considerazione.

30. Il suo ministero dinanzi a Dio

Oltre al Suo carattere, possiamo anche notare nel Signore delle glorie morali quanto al Suo ministero, il quale si può considerare nella sua relazione con Dio, con Satana e con l’uomo. Verso Dio, il Signore Gesù nella Sua persona e nelle Sue vie rappresentò sempre l’uomo dinanzi a Lui, come Egli l’avrebbe voluto. Ristorò l’umana natura presentando Sé stesso come un sacrificio di riposo o di odor soave, come un puro incenso d’una squisita fragranza, come un cesto di frutte primaticce maturate sul terreno umano; ristabilì il compiacimento di Dio nell’uomo che era stato tolto dal peccato di Adamo; e mutò il pentimento di Dio d’aver fatto l’uomo (Genesi 6:6) in diletto ed in gloria. E quest’offerta fu fatta a Dio fra ogni sorta di contrarietà, ogni sorta di circostanze avverse, di dolori, di fatiche, di necessità ed avversità che rompevano il cuore. Meraviglioso altare! Meravigliosa offerta! — Essa fu un sacrificio infinitamente più ricco di quello che avrebbe potuto essere un’eternità d’innocenza adamitica; e nel modo che Gesù rappresentò l’uomo a Dio, rappresentò pure Dio all’uomo.
Per la caduta di Adamo, non c’era più sulla terra l’immagine (*) di Dio; ma in Cristo troviamo l’immagine più piena e più risplendente di Dio che Adamo avrebbe mai potuto presentare. Gesù fece sì che, non un’ordinata creazione, ma un mondo rovinato ed indegno conoscesse ciò che era Dio, manifestandolo in grazia e dicendo: « Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Giovanni 14:9). In una parola, Egli rivelò Dio. Tutto ciò che è divino, tutto ciò che si può sapere intorno «alla luce», che nessun uomo può avvicinare, fu manifestato da Gesù agli occhi nostri.
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(*) Cioè la rappresentazione o il rappresentante. 
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Inoltre, nel Suo ministero, considerato in relazione con Dio, vediamo che Cristo è sempre zelante e fedele nel mantenere i diritti ed i divini principi, mentre non cessa di prodigare le Sue tenere cure per lenire i bisogni dell’umanità. Per quanto molteplici e differenti fossero le miserie dell’uomo, Egli non vi sacrificò giammai qualcosa che avesse attinenza con la santità e sovranità di Dio. Alla Sua nascita il cantico di : «Gloria a Dio nei luoghi altissimi» si udì unitamente a: «Pace in terra agli uomini ch’egli gradisce! » (Luca 2:14); ed Egli rese gelosamente omaggio a questa divina gloria, durante tutto il Suo ministero, nello stesso modo che servì diligentemente ai bisogni dei poveri peccatori. L’eco di queste due voci: «Gloria a Dio» e «Pace in terra» si fece sentire, per così esprimermi, in tutte le occasioni. Il caso della donna Sirofenice, che abbiamo già menzionato più sopra, ne è un esempio palpabile: finché essa non prese il posto che le competeva in relazione con i consigli e con le dispensazioni di Dio, Egli potè far nulla per lei; ma appena prese il suo posto, le accorda tutto quello che richiedeva. Ecco alcune delle glorie del Signore Gesù quanto al Suo ministero verso Dio.

31. Il suo ministero riguardo a Satana

Ora parliamo del Suo ministero in rapporto con Satana. In primo luogo, e ciò molto a proposito, il Signore lo incontrò quale tentatore. Satana cercò nel deserto di sedurre Gesù con quelle corruzioni morali con le quali era sì ben riuscito di penetrare in Adamo e nella natura umana. Ma la vittoria riportata sopra il seduttore fu la vera e necessaria introduzione di ogni opera o fatto del Signore Gesù. Quindi fu lo Spirito che lo condusse all’adempimento di quest’azione, come leggiamo in Matteo 4: «Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo». Prima che il Figlio dell’uomo potesse entrare nella casa dell’uomo forte, e rapirgli la sua roba, bisognava che lo legasse (Matteo 12:29); e prima che Egli potesse denunciare le opere infruttuose delle tenebre, bisognava che mostrasse che non vi partecipava (Efesini 5:11). Egli dovette resistere al nemico, e tenerlo a distanza, prima di poter entrare nel suo regno e distruggere le sue opere.
In tal modo Gesù ridusse Satana al silenzio; lo legò; e questi dovette ritirarsi come un tentatore interamente sconfitto. Esso non potè introdurre nulla del suo in Lui; anzi vide che tutto quello che vi era veniva da Dio. Cristo rifiutò ciò che Adamo sotto una simile tentazione aveva accettato; ed in tal modo essendosi mantenuto puro, ha acquistato il titolo perfettamente morale di rimproverare l’impurità.
L’accusatore potè dire in riguardo a Giobbe: «Pelle per pelle» (Giobbe 2:4), usando parole che insultano e provocano la comune natura rovinata; ma quale accusatore di Gesù davanti al trono di Dio, esso ebbe nulla a dire e dovette tacere.
Ecco come comincia la Sua relazione con Satana; e su una tal base Egli entra nella sua casa e lo spoglia dei suoi beni. Questo mondo è la casa di cui parliamo, ove il Signore nel Suo ministero si vede che distrugge varie profonde tracce della potenza nemica. Ogni sordo o cieco che fu guarito, ogni lebbroso nettato, ogni opera compiuta dalla Sua mano ristoratrice, qualunque essa fosse, era precisamente lo spogliare dei suoi beni l’uomo forte nella sua propria casa. Avendolo innanzi legato, gli rapisce la sua roba; ed alla fine però si dà a lui come a quello che ha «il potere sulla morte» (Ebrei 2:14). Il Calvario infatti fu l’ora della potenza delle tenebre (Luca 22:53); là Satana spiegò tutte le sue forze, mise in giuoco tutte le sue astuzie, usò di tutte le sue finezze; ma fu vinto. Il suo prigioniero divenne il suo vincitore, il quale per la morte distrusse colui che aveva l’imperio su di essa, e tolse il peccato per il sacrificio di Sé stesso. Il capo del serpente è pur là che venne schiacciato, come ben disse un altro, che «la morte e non 1’uomo fu senza forza».
Così Gesù il Figlio di Dio fu colui che schiacciò Satana, dopo averlo legato e spogliato dei suoi beni. Ma c’è un’altra gloria morale che si vede a brillare nel ministero di Cristo in relazione con Satana; e questa consiste nel fatto che gli permise mai di rendere testimonianza di Lui. La testimonianza poteva essere vera e concepita in termini molti seducenti come, per esempio: «Io so chi sei: Il Santo di Dio!» (Marco 1:24); ma Gesù non permise che egli parlasse, poiché il Suo ministero doveva essere puro come la Sua grazia. Egli non accettò giammai la cooperazione di ciò che era venuto per distruggere, e nel suo servizio non potè mai avere comunione con le tenebre, come non ne ebbe mai nella Sua natura. Egli non agì mai dietro le convenienze, quindi il rifiuto e l’intimazione del silenzio fu la risposta che diede alla testimonianza che il nemico voleva rendergli (*).
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(*) In quanto che il ministero di Cristo, descritto nei Vangeli, ci vien presentato in relazione a Satana, noi vediamo che Egli è semplicemente colui che lo lega, che lo spoglia e che lo schiaccia. Nell’Apocalisse, invece, vediamo qualcosa di più: Satana vien gettato giù dal cielo; e poi, giunto il suo tempo, è legato per mille anni; quindi vien gettato nello stagno del fuoco e dello zolfo (Apocalisse 12 e 20). Così noi vediamo la completa vittoria, riportata dal Signore Gesù sopra Satana dalla prima tentazione nel deserto fino al lago di fuoco che durerà eternamente. 
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32. Il suo ministero verso l’uomo

Finalmente il ministero del Signore Gesù, in rapporto con l’uomo, brilla anch’esso di glorie pure ed eccellenti. Leggendo i Vangeli, Lo si vede costantemente in attitudine di consolare e servire l’uomo secondo le sue molteplici miserie, madimostrandogli contemporaneamente ch’esso ha una natura interamente lontana da Dio ed in preda alla rivolta ed all’apostasia. Inoltre vediamo che Egli lo mette alla prova; e ciò è degno d’essere particolarmente considerato, quantunque generalmente gli si dia poca importanza. Nei Suoi insegnamenti Egli prova i Suoi interlocutori, qualunque sia il genere di relazione che hanno con Lui; tanto i discepoli come la moltitudine; tanto coloro che venivano a Lui amichevolmente portando le loro angustie, come coloro che si opponevano con manifesta inimicizia. Quando Egli si trovava con i discepoli, li faceva passare continuamente per esercizi di cuore o di coscienza così comuni, che è inutile il ripeterli. Così agiva con le moltitudini che lo seguivano: «Ascoltate ed intendete», diceva loro, esercitando in tal modo le loro menti.
A molti che vennero a Lui per essere liberati dalle loro pene, disse: «Credete voi che io possa far questo?» o qualcosa di simile; e la donna Sirofenice è una chiara testimonianza del modo con cui Egli abbia provato questa classe di persone.
Parlando affabilmente con Simone in Luca 7, dopo avergli raccontato la storia dell’uomo che aveva due debitori, per metterlo alla prova gli chiese: «Chi di loro dunque lo amerà di più?», mostrandoci con ciò che anche i Farisei, i Suoi instancabili nemici, erano costantemente provati. Questo ci dice e ci testimonia ciò che Gesù era; ci dice che Egli non voleva eseguire un giudizio sommario sopra di essi, ma piuttosto condurli al pentimento. E così volendo provare i Suoi discepoli, c’insegna che noi impariamo per bene le Sue lezioni sol quando il nostro cuore o la nostra coscienza esprimono qualche attività d’intendimento sopra di esse.
Questo modo di esercitare coloro che Egli dirigeva ed insegnava è per certo un’altra delle tante glorie morali che caratterizzano il Suo ministero.
Inoltre, nel Suo ministero verso l’uomo, vediamo che il Signore Gesù rimproverava frequentemente, essendo ciò indispensabile in mezzo all’umana famiglia; ma il Suo modo di rimproverare è degno d’ammirazione. Quando Egli biasimava i Farisei, i quali per la mondanità dei loro cuori gli facevano opposizione, usava un linguaggio severo e solenne, dicendo: «Chi non è con me è contro di me» (Matteo 12:30); e quando voleva alludere a coloro che Lo confessavano e Lo amavano, ma che abbisognavano maggior potenza di fede o maggior luce per godere meglio della Sua comunione, Egli si esprimeva in altri termini dicendo: «Chi non è contro di voi è per voi» (Luca 9:50). Lo vediamo pure agire con questo carattere in Matteo 20, quando si tratta dei dieci e dei due fratelli, figli di Zebedeo. Come egli addolcisce il Suo rimprovero, dovendolo rivolgere ad individui presso i quali c’erano molte cose buone e giuste! Ed in ciò Egli non condivise la collera dei Suoi discepoli, i quali non avrebbero risparmiato per nessun conto i due fratelli. Egli esamina pazientemente ogni cosa, e separa ciò che è prezioso da ciò che è vile.
Similmente lo vediamo muovere rimprovero a Giovanni, allorché questi proibì uno di scacciare demoni nel nome di Gesù, perché non camminava con loro. Ma in quel momento lo spirito di Giovanni era stato disciplinato; ed alla luce delle parole pronunziate precedentemente dal Signore (vedi Luca 9:46-50), egli aveva scoperto lo sbaglio commesso, e lo racconta, quantunque il Signore non vi avesse fatto la più piccola allusione. Così Giovanni, conscio dello sbaglio commesso, avendolo confessato ingenuamente, il Signore agisce verso di lui con grande dolcezza.
Troviamo ancora un caso simile in Matteo 11, quando Gesù censura il Battista, pure rendendogli una bella testimonianza. Questi era in prigione, il che, in quel momento, aveva un gran pregio agli occhi del Signore, ma bisognava censurarlo per aver mandato un’ambasciata al Suo Signore che accludeva un acerbo rimprovero. Però la delicatezza di questa censura è magnifica; Egli rimanda il messaggio a Giovanni aggiungendovi poche parole, che soltanto lui poteva comprendere: «Beato colui che non si sarà scandalizzato di me» (Matteo 11:6). Persino gli stessi discepoli del Battista che erano i messaggieri, non erano al caso di capire la portata di queste parole. Gesù voleva che Giovanni scoprisse a sé stesso la mancanza di fede, ma non mai esporlo al biasimo dei Suoi discepoli od ai motteggi del mondo.
Così dicasi della censura che inflisse ai due discepoli di Emmaus ed a Tomaso dopo la risurrezione. Pietro pure dovette essere rimproverato in Matteo 16 e 17; ma il rimprovero gli vien diretto differentemente a seconda dell’occasione.
Tutte queste differenze però formano un insieme di morale bellezza che è veramente edificante. Possiamo dire che il Suo stile sia esso stato perentorio o delicato, pungente o mite; che la Sua ammonizione sia essa stata ridotta ad essere appena percettibile, o concepita in termini che s’accostarono alla ripulsa; pure, quando tutto viene ben pesato secondo le circostanze, si troverà certamente che queste varietà non sono altro che la rivelazione di nuove perfezioni. Tutti questi rimproveri erano « un anello d’oro, un ornamento d’oro fino», che fossero appesi o non ad «un orecchio docile» (Proverbi 25:12). «Mi percuota pure il giusto; sarà un favore; mi riprenda pure; sarà come olio sul capo; il mio capo non lo rifiuterà» (Salmo 141:5); ed il Signore fece provare ciò ai Suoi amati discepoli.

33. Conclusione

        a) La gloria della croce

In questo modo ho tracciato alcuni tratti della gloria morale del Signore Gesù Cristo. Egli rappresentò l’uomo davanti a Dio secondo che esso avrebbe dovuto essere, e Dio si riposò in Lui.
Questa perfezione morale di Cristo come uomo e la Sua accettazione presso Dio erano raffigurate nell’offerta di panatica, fatta con fior di farina e cotta nel forno o nella padella col suo olio e col suo incenso (Levitico 2).
Quando il Signore Gesù era sulla terra in mezzo agli uomini e manifestato a Dio come uomo, Dio esprimeva continuamente in Lui il Suo compiacimento. Egli crebbe al Suo cospetto nella natura umana e nell’esposizione di tutte le umane virtù; talché non aveva bisogno in qualsiasi momento avesse voluto raccomandarsi, che di Sé stesso, appunto come Egli era. L’uomo fu moralmente glorificato tanto nella Sua persona come nelle Sue vie, di modo che quando giunse la fine della sua carriera, Egli potè andare «direttamente» a Dio, come l’antica fascio delle primizie veniva tolta dal campo tal quale essa era, e senza subire nessun processo preparatorio veniva direttamente ed immediatamente presentata ed accettata da Dio (Levitico 23:10).
Le ragioni di Gesù sulla gloria furono delle ragioni morali. Egli ebbe moralmente diritto d’essere glorificato; e questo diritto risiedeva in Lui stesso. I versetti 31-32 del capitolo 13 di Giovanni mettono ciò chiaramente in rilievo e nella connessione voluta. Là il Signore, appena Giuda è uscito da tavola, dice: «Ora il Figlio dell’uomo è glorificato»; poiché questo atto di Giuda era il sicuro precursore dell’arresto del Signore da parte dei Giudei, e questo era a sua volta il sicuro precursore della sua crocifissione da parte dei Gentili. E la croce essendo il compimento e la perfezione dell’intiera forma di gloria morale in Lui, era il momento di pronunciare queste parole: «Ora il Figlio dell’uomo è glorificato », aggiungendovi: «e Dio è glorificato in lui».
Ma Dio fu pure perfettamente glorificato come lo fu il Figlio dell’uomo, quantunque la Sua gloria fosse differente. Allora il Figlio dell’uomo fu glorificato per aver completato quella piena forma di bellezza morale che brillò del continuo durante tutta la Sua vita. Nemmeno la più piccola particella di essa vi poteva mancare in quel sublime momento, nello stesso modo che dal principio fino a quest’ultimo istante non fu mai congiunta con qualcosa che ne fosse stata indegna; e quella era l’ora definitiva nella quale doveva brillare l’ultimo suo raggio per manifestarne il suo pieno splendore. Ma anche Dio fu glorificato allora, poiché tutto ciò che aveva attinenza col Suo Essere fu mantenuto e manifestato. Furono mantenuti i Suoi diritti e manifestata la Sua bontà. La grazia e la verità, la giustizia e la pace furono similmente ed egualmente soddisfatte e compiaciute. La verità di Dio, la Sua Santità, il Suo amore, la Sua maestà, tutto insomma fu magnificato in un modo ed illustrato così chiaramente, che non se ne avrebbe potuto saper di più altrimenti. La croce, come ben disse uno, è la meraviglia morale dell’universo.

                      b) L’uomo glorificato nel cielo

Ma il Signore aggiunse ancora: « Se Dio è glorificato in lui, Dio lo glorificherà anche in sé stesso e lo glorificherà presto». Questo è il riconoscimento del proprio diritto ad una gloria personale. Egli ha sempre completato con perfezione l’intiera forma di gloria morale, sia durante la Sua vita che nella Sua morte; ha inoltre rivendicato la gloria di Dio, come abbiamo veduto; quindi fu cosa giusta che Egli abbia potuto entrare nella Sua propria gloria, il che fece quando salì prontamente al cielo alla destra della Maestà, trovandosi ad un tratto in compagnia con Dio.
L’opera di Dio come Creatore fu ben tosto guastata dall’uomo, il quale essendosi rovinato col peccato, Dio «si pentì d’averlo fatto» (Genesi 6:6). Qual terribile cambiamento si operò nel pensiero di Dio da quel giorno in cui Egli aveva trovato che la creazione era molto buona! (Genesi 1:31); ma nel Signore Gesù venne ristabilito il divino compiacimento nell’uomo, il che è una benedizione ancor più aggradevole dopo quel precedente Suo pentimento di averlo creato. Ciò fu più che la Sua primitiva grazia quando vide che «tutto era molto buono», ma fu il riacquisto dopo una perdita ed un disinganno. E come il primo uomo, quando peccò, fu posto fuori da quello stato di benedizione inerente alla creazione, così il secondo uomo (essendo il Signore venuto dal cielo) quando glorificò Dio, fu elevato alla destra della Maestà nei luoghi celesti quale capo su tutto il creato. Gesù è nel cielo quale uomo glorificato, perché quaggiù Dio fu glorificato in Lui essendo stato ubbidiente in vita ed in morte. È bensì vero ch’Egli è là rivestito di altri caratteri che noi conosciamo: Egli è là come Vincitore, come Colui che aspetta, come Sommo Sacerdote nel tabernacolo eretto da Dio, come Precursore, e come Colui che ha fatto la purificazione dei nostri peccati; ma è anche là glorificato, nel più alto dei cieli, perché Dio fu glorificato in Lui qui sulla terra.

                   c) La gloria dell’uomo perfetto

Vita e gloria gli appartenevano, sia per diritto personale, come per ragioni morali; ed il dimorare in simile verità, ricordandocelo ripetute volte, rallegra veramente il cuore. Egli non perdette il giardino di Eden; ma, com’è ben vero, camminò sempre fuori di esso, tra le spine ed i triboli, i dolori e le privazioni di un mondo rovinato. Questo però lo fece in grazia; scelse una simile condizione, ma non fu esposto ad essa. Egli non fu, come Adamo, e come noi tutti, messi da una parte dei cherubini e guardati con la spada fiammeggiante, mentre dall’altro v’erano l’albero della vita ed il giardino dell’Eden; anzi vediamo dalla Sua storia che invece di angeli per tenerlo lontano, quando Egli vinse la Sua tentazione, essi si avvicinarono a lui e lo servivano. Egli stette ritto dove Adamo cadda; ed essendo uomo, veramente uomo, Egli venne distinto da tutti gli altri uomini. Dio fu glorificato in Lui nello stesso modo che in tutti quelli che lo precedettero fu disonorato e disilluso.
In un certo senso, questa perfezione del Figlio dell’uomo, questa perfezione morale è tutta per noi. Essa dà, per così dire, il suo sapore al sangue versato in espiazione dei nostri peccati. Essa fu come la nuvola d’incenso che veniva posta alla presenza del Signore insieme al sangue nel giorno dell’espiazione (Levitico 16).
Ma, in un altro senso, questa perfezione è troppo per noi; essa è troppo elevata perché noi la possiamo afferrare. Ci schiaccia se pensiamo a ciò che noi siamo, mentre invece ci riempie d’ammirazione se la riguardiamo come dicendoci ciò cheEgli è. La gloria personale del giudicio anticamente si manifestava sempre incutendo un grande timore. I più favoriti fra i figli degli uomini, come Isaia, Ezechiele e Daniele, non poterono resistere alla sua presenza; e la stessa cosa esperimentarono Pietro e Giovanni. Così ogni volta che noi consideriamo questa gloria morale, ci sentiamo come schiacciati dalla sua elevatezza.

                     d) La sua gloria incompresa in questo mondo

Però la fede, trovandosi nella sua presenza, è affatto nel suo elemento. Il dio di questo mondo acceca le menti al punto d’impedirne non solo la gioia, ma persino la concezione; la fede però le dà il benvenuto e si compiace in essa. Ecco ciò che succede quaggiù fra gli uomini su simile materia! Alla presenza di questa gloria i Farisei ed i Sadducei domandarono un segno; Sua madre, per causa della vanità, non la comprese; neppure la compresero i fratelli del Signore per causa della loro mondanità (Giovanni 2 e 7); ed i discepoli stessi ne erano costantemente rimproverati. L’olio d’oliva preparato per questa luce forse era troppo puro per molti, ma esso bruciava sempre nel santuario alla «presenza dell’Eterno». La sinagoga di Nazaret ci mostra in un modo sorprendente che l’uomo non ha disposizione per questo. Tutti riconobbero l’assennato parlare che procedeva dalla bocca del Signore; ne sentirono la potenza; ma subito una forte corrente di corruzione della natura incominciò ad opporsi a questo movimento dei loro cuori e li vinse. Bene scopersero la testimonianza di Dio in mezzo a questo mondo in rivolta e presuntuoso; ma ciò non fece per loro. Il «figlio di Giuseppe» parli pure come vuole, dica pure delle buone e consolanti parole, ciò non monta, esse non sono accettate, perché è figlio d’un falegname (Luca 4). Qual meravigliosa testimonianza d’una corruzione profonda ed incurabile! L’uomo ha le sue amabilità, i suoi gusti, le sue virtù, le sue sensibilità, come vediamo in questa scena di Nazaret, raccontataci nel capitolo 4 di Luca; le buone parole di Gesù fanno nascere una corrente di buoni pensieri che dura per un momento; ma che ne avvenne di tutto ciò quando Dio volle provarlo? Ah! cari fratelli, noi dobbiamo pur sempre dire che nella nostra amabilità e nelle nostre doti rispettabili, nel nostro gusto e nelle nostre emozioni, che in noi stessi insomma (cioè nella nostra carne) «non abita alcun bene» (Romani 7:18).

                     e) La gloria del Figlio di Dio

La fede, ripeto, si trova al largo con Cristo. Possiamo noi trattare un Tale con timore o con sospetto? — Possiamo noi dubitare di Lui? — Possiamo noi stare lontano da Colui che sedette sul pozzo di Sichar con la donna Samaritana? — Stette essa lungi da Lui? — Per certo, cari fratelli, noi dovremmo piuttosto cercare la Sua intimità. I discepoli che Lo seguivano avevano anch’essi da imparare ripetutamente le loro lezioni, e noi ne vediamo qualche cosa leggendo i Vangeli. Invece di fermarsi leggermente su quanto avevano già scoperto in Lui, essi dovevano far nuove scoperte e cercar di conoscerlo sempre più. Nel capitolo 14 di Matteo essi dovettero confessare: «Veramente tu sei Figlio di Dio», il che fu per loro una nuova scoperta. Se avessero avuto una fede semplice, essi avrebbero dormito sulla barca tranquillamente; ma quale scena vi fu mai a loro onta ed alla Sua gloria! Essi parlarono con arroganza quando rimproverarono il Signore, come se Egli fosse stato indifferente al loro pericolo: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?» Egli si svegliò al suono della loro voce, e subito li pose in sicurezza; ma in seguito li rimproverò, non tanto per l’ingiustizia delle loro parole a Suo riguardo, ma per la loro mancanza di fede.
Come fu perfetto ciò! Come fu perfetta ogni cosa, e ciascuna nel suo genere: le umane virtù, i frutti dell’unzione che c’era sopra Lui, e le Sue glorie divine. Le due nature non sono confuse nell’Unica Persona del Signore Gesù; se non che lo splendore della divina natura è velato e la bassezza dell’umana natura è elevata. Non v’è nulla, e non vi potrebbe essere nulla di simile in tutta la creazione: la natura umana fu perfettamente umana, e la divina fu perfettamente divina. Gesù dormiva nella barca — Egli era uomo. Gesù acquetò il vento e le onde del mare — Egli era Dio.

                          f) La sua gloria reale

Questa gloria morale deve brillare anch’essa, e le altre le lasceranno posto finché ciò sia avvenuto. I Greci che vennero alla festa di Gerusalemme per adorare, domandarono di Gesù, desiderando di vederlo. Ciò fu un saggio della gloria reale del Messia, quando le nazioni si recheranno alla città dei Giudei per adorare, e che Egli, quale Re in Sion, sarà il Signore di tutti e il Dio di tutta la terra.
Ma c’era qualcosa di più profondo che questo; e per scorgerlo bisognava avere un sentimento più giusto delle vie di Dio che non la semplice aspettativa d’un regno. I Farisei abbisognavano di ciò quando chiedevano al Signore quando verrebbe il regno di Dio (Luca 17:20). Egli dovette parlar loro d’un altro regno che essi non compresero — un regno in mezzo a loro, un regno presente che sarebbe venuto e conosciuto prima che il glorioso regno manifestato apparisse. I discepoli pure avevano bisogno di ciò quando domandarono al Signore se avrebbe restituito allora il regno ad Israele (Atti 1). Egli invece dovette parlar loro di un’altra cosa prima che la ristorazione potesse aver luogo; dovette annunziar loro che avrebbero ricevuto lo Spirito per testimoniare di Lui a tutto il mondo.

                             g) La sua gloria morale

Così qui, in Giovanni 12, il Signore c’insegna che la gloria morale deve precedere il regno. Certamente Egli brillerà quanto prima nella gloria del trono, ed i Gentili andranno allora a Sion per vedere il Re in tutta la Sua bellezza; ma prima che questo avvenga, la gloria morale deve essere manifestata nella sua pienezza e purezza. Questo fu il Suo pensiero, quando disse ai Gentili che avevano voluto vederlo: «L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo dev’essere glorificato» (Giovanni 12:23). Questa fu la Sua gloria morale, come abbiamo già detto in Giovanni 13:31-32. Essa brillò tutto il lungo del Suo cammino, dalla Sua nascita fin qui; la Sua morte doveva servire per completarla; e quindi era appunto giunto il momento in cui essa doveva gettare il suo ultimo raggio che la conducesse alla perfezione. Perciò il Signore, in questa circostanza, introduce (come fece, e come noi abbiamo veduto in Luca 17 ed in Atti 1) una verità addizionale, che, per comprendere, richiedeva una conoscenza più ricca e più esatto delle vie di Dio: la gloria morale deve essere pienamente manifestata prima che il Messia possa mostrarsi nella Sua gloria reale a tutta quanta la terra.
Però questa gloria è Sua, escludendo la partecipazione di chicchessia. Come è lungi dal Suo cuore ogni altro pensiero! Quando i cieli si apersero in Atti 10, il lenzuolo fu visto discendere prima che Pietro ricevesse il comando di avere comunione con esso, e prima che esso risalisse e fosse perduto nuovamente in alto: il suo contenuto doveva essere purificato o santificato. Ma quando i cieli si apersero in Matteo 3, Gesù sulla terra non ebbe bisogno d’essere rapito per ricevere l’approvazione lassù, ma delle voci e delle visioni dal cielo suggellarono e gli attestarono appunto chi Egli era: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto».
E quando i cieli furono nuovamente aperti in Matteo 27, cioè quando il velo del tempio si fendè in due, tutto era finito, non si aveva più bisogno di nulla, l’opera di Gesù era compiuta. Il cielo, aperto in principio, mostrò la piena accettazione della Sua persona; ed il cielo aperto alla fine mostrò la piena accettazione della Sua opera.
Permettetemi che io chiuda dicendo che è una benedizione ed una felicità, come pure è parte del nostro culto il notare il carattere delle vie del Signore e del Suo ministero qui sulla terra, come ho cercato di fare in qualche misura con questo breve scritto; poiché tutto quello che Egli fece e che Egli disse, tutto il Suo servizio, tanto nella sostanza come nella forma, è la testimonianza di ciò che Egli era, e testimonia a noi ciò che Dio è. Così noi, seguendo i passi del Signore Gesù, tracciati nei Vangeli, ci avviciniamo al Dio benedetto. Ogni passo su questa via acquista importanza per noi. Tutto quello che fece e che disse era la pura realtà, la vera espressione di Sé stesso; ed era realmente la vera espressione di Dio. E se noi possiamo comprendere il carattere del Suo ministero, vedere quella gloria morale che è legata ad ogni momento e ad ogni particolare del Suo cammino e del Suo servizio qui sulla terra, ed imparare così ciò che Egli è, e ciò che è Dio, noi ci accostiamo a Dio con una certa e chiara conoscenza di Lui per mezzo dell’ordinario cammino ed attività della vita di questo divino Figlio dell’uomo.


Dio ci benedica!


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