La
gloria morale del Signore Gesù Cristo
«Quando qualcuno offrirà all’Eterno un’oblazione, la sua offerta sarà di fior di farina, su cui verserà dell’olio, e vi aggiungerà dell’incenso. La porterà ai sacerdoti figli d’Aaronne; il sacerdote prenderà una manciata piena del fior di farina spruzzato d’olio, con tutto l’incenso, e farà bruciare ogni cosa sull’altare, come ricordo. Questo è un sacrificio di profumo soave, consumato dal fuoco per l’Eterno». Levitico 2:1-2
Il
tempo non opera nessun cambiamento nel Signore.
Gli stessi esempi di grazia e di carattere, prima e dopo la Sua
risurrezione, dimostrano l’esistenza di questa verità, che è così
importante per noi. Sappiamo ciò che Egli è in questo momento, e
ciò che sarà per sempre, da quello che fu già; sia in carattere,
come in natura — in relazione a noi come a Sé stesso — «Gesù
Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno» (Ebrei 13:8). Soltanto
il menzionare una tal cosa è già atto a confortarci; noi che alle
volto siamo afflitti dai cambiamenti, ed altre volte li desideriamo,
facendo così l’esperienza in varie guisa dell’incostanza di
quella natura che costituisce la vita umana. Non sono soltanto le
circostanze che variano ad ogni piè sospinto, ma le relazioni, le
amicizie, le affezioni ed i caratteri sono soggetti a continui
cambiamenti che ci sorprendono e ci affliggono.
Corriamo
a precipizio da uno stadio della vita ad un altro, ma è rarissimo
che le nostre affezioni non perdano quell’intensità o quella
purezza che avevano una volta; sia che si tratti di noi, come dei
nostri compagni di pellegrinaggio. Ma Gesù dopo la risurrezione fu
il medesimo di prima, quantunque gli ultimi avvenimenti abbiano posto
i discepoli ad una tal distanza da Lui, che non fu mai conosciuta tra
compagni, o che non potrebbe esserlo. I
discepoli avevano
mostrato apertamente l’infedeltà e l’incostanza dei loro cuori,
abbandonando e fuggendo il loro Maestro nell’ora della sua
debolezza e della sua angoscia; mentre Egli per
l’amore che nutriva verso di loro andò fino alla morte, a quella
morte che non avrebbe potuto essere affrontata da nessun’altro,
senza essere annientato. Dopo questa morte, i discepoli continuavano
ad essere dei poveri e deboli Galilei, mentre Egli stava per essere
glorificato con gran potenza nel cielo e sulla terra!
Ma
tutto ciò non produsse il minimo cambiamento — «né altezza, né
profondità, né alcun’altra creatura», dice l’Apostolo,
«potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù,
nostro Signore». L’amore affronta tutto, ed Egli ritornò ai Suoi
discepoli come quel Gesù che essi avevano conosciuto prima. Egli
continua ad essere il loro compagno d’opera dopo la Sua
risurrezione, anzi, dopo la Sua ascensione al cielo, come lo fu nei
giorni del Suo ministero durante il Suo soggiorno quaggiù con loro:
questo si vede negli ultimi versetti di Marco.
Là,
in sul lago (Matteo 14), i discepoli credettero di vedere un fantasma
e gridarono dallo spavento; ma il Signore fece loro subito conoscere
che era Egli stesso che era là vicino; e ciò in grazia, quantunque
fornito della forza divina e della sovranità sopra la natura. Così
in Luca 24, dopo che Egli fu risorto, prese il fiale di miele col
pesce arrostito, e mangiò in loro presenza, affinché potessero
convincersi con piena certezza di cuore che Egli era Lui in persona.
Inoltre avrebbe voluto che lo guardassero e lo toccassero, dicendo
loro che uno spirito non aveva carne, né ossa come aveva Lui, e del
che essi potevano facilmente persuadersi.
Nel
capitolo 3 di Giovanni introduce nella via della verità un dottore
d’Israele, che era tutto quanto avviluppato dalle tenebre,
mostrando verso lui una gran pazienza e grazia. Così fece pure in
Luca 24, dopo la Sua risurrezione, con quei due discepoli tardi di
cuore mentre andavano ad Emmaus.
In
Marco 4 volendo rimproverare l’incredulità dei Suoi, ha cura di
calmarne prima i timori; Egli sgrida il vento ed ordina al mare di
star cheto, poi dice loro : «Perché siete così paurosi? Non avete
ancora fede?» Così fa in Giovanni 21 dopo che fu risuscitato dai
morti: Egli siede a mangiare con Pietro in piena e libera comunione
come se nulla fosso avvenuto in quella terribile sera, là nel
cortile del sommo Sacerdote; poi tocca un argomento delicato per il
Suo discepolo e atto a risvegliare la sua coscienza, dicendogli per
ben tre volte : «Simone di Giona, mi ami tu?...»
Quando
viene raccontata l’appariziono di Gesù risuscitato a Maria
Maddalena, l’evangelista non dimentica di dirci che era il medesimo
che aveva scacciato da essa i sette demoni; e Maria conobbe subito
quella voce che la chiamò per nome, avendo l’orecchio familiare ad
essa già da lungo tempo. — Quale identità vi è tra il Cristo
umiliato e glorificato, il Salvatore dei peccatori, ed il Signore del
mondo avvenire! — Tutto ci dice che, sia nel carattere come nella
gloria personale e divina, Colui che discese è lo stesso che salì
al cielo. Anche Giovanni, trovandosi col Signore risuscitato, ci vien
presentato per il discepolo che durante la cena era coricato sul seno
del suo Maestro (Giovanni 21:20).
E
quando Saulo di Tarso, tutto sbigottito nel vedere quella luce a
sfolgorargli d’intorno, domandò: «Chi sei, Signore?» Colui che
era nell’alto dei cieli, alla destra del trono della maestà,
rispose semplicemente: «Io sono Gesù... » (Atti 9).
Questo
è anche applicabile a noi personalmente e c’interessa davvicino.
Pietro riconobbe, in quanto a lui, che il Suo Maestro era lo stesso,
tanto prima come dopo la risurrezione: in Matteo 16 egli è
rimproverato dal Signore; ma subito dopo viene condotto con Lui sul
monte santo in piena libertà di cuore, come se avesse fatto nulla di
riprovevole. E così avvenne allo stesso Pietro in Giovanni 21, dov’è
nuovamente censurato: secondo la sua abitudine, egli volle
immischiarsi in cose alle quali doveva rimaner estraneo; e vedendo
Giovanni, disse a Gesù: «Signore, e di lui che sarà?». Ma il
Maestro lo rimproverò di nuovo col dirgli: «Che t’importa?» Però
ad onta di questo rimprovero, per duro e perentorio che fosse,
vediamo che egli è unito a Giovanni nell’accompagnare il Signore
che stava per salire al cielo. Di modo che fu Pietro rimproverato che
un giorno salì col Signore sul monte santo; ed è
Pietro rimproverato,
lo stesso Pietro, che ora va col Signore al cielo;
una
seconda volta al monte della gloria, al monte della trasfigurazione.
Che
potente consolazione vi troviamo in ciò! Noi abbiamo Gesù, il
nostro Signore; che è lo stesso ieri, oggi ed in eterno! — lo
stesso nei giorni del Suo ministero, dopo la Sua risurrezione, ora
che è salito nei cieli; e ciò per sempre! — E siccome Egli ha lo
stesso carattere e si manifesta sempre con la stessa grazia, tanto
prima come dopo la risurrezione, così Egli adempierà tutte le
promesse che ha fatto ai Suoi discepoli.
Che
sia detto da Lui o dai Suoi angeli, il motto: «Non temere» vale
tanto adesso come allora, tanto dopo la risurrezione come prima della
Sua morte. Prima di morire promise ai Suoi discepoli di dar loro
la Sua pace;
e vediamo infatti che la diede di poi nel modo più splendido e
solenne. Egli adempi la Sua promessa in Giovanni 20 dopo che fu
risorto, dicendo: «Pace a voi!» e detto questo mostrò le Sue mani
ed il Suo costato, ove con simbolico linguaggio essi potevano leggere
che questa pace fu loro comprata da Lui stesso, che era la Sua pace,
veramente la Sua,
acquistata unicamente da Lui, e che era divenuta la loro proprietà
per un irrevocabile ed indiscutibile diritto.
Nei
giorni trascorsi il Signore aveva loro detto: «voi mi vedrete,
perché io vivo e voi vivrete» (Giovanni 14:19); ed ora nei giorni
della Sua risurrezione, nei giorni dell’Uomo risuscitato, che è
vittorioso della morte ed in possesso della vita, Egli comunica loro
questa vita nella più ampia misura, soffiando su di loro e dicendo:
«Ricevete lo Spirito Santo» (Giovanni 20:22).
Aveva
detto che il mondo non l’avrebbe più veduto, ma che essi
l’avrebbero veduto ancora; e così avvenne. Essi lo videro ancora
per quaranta giorni, e l’udirono a parlare delle cose che
riguardavano il regno di Dio; ma tutto ciò fu in segreto: il mondo
non lo vide più dal momento che lo crocifisse sul Calvario, e non lo
vedrà più finché venga nel giorno del giudizio.
Una
testimonianza semplice ed umile ad un tempo della fedeltà alle Sue
promesse l’abbiamo nel convegno che Egli dà ai Suoi discepoli in
Galilea, in adempimento di ciò che aveva detto prima; ed
un’espressione ancor più viva della stessa fedeltà l’abbiamo
nel fatto che Egli li conduce fino al Padre nel cielo, come aveva
anche promesso, mandando loro il messaggio che Egli saliva al
Padre Suo ed
al Padre loro,
al Dio Suo ed
al Dio loro.
Quindi, sia che si si trattasse della Galilea sulla terra, o della
Sua propria casa nel cielo, ove disse che l’avrebbero veduto, in
entrambi i casi la Sua promessa fu compiuta. Quanto a noi, meditiamo
un poco sulla condiscendenza, sulla perfezione, sulla semplicità e
sulla grandezza di tutto ciò che traccia il Suo cammino quaggiù; ed
inchiniamoci dinanzi a tanta nobiltà di sentire ed a tanta fedeltà
nell’operare.
Il
Signore ebbe molto a fare con Pietro mentre ministrava tra i Suoi
discepoli; e vediamo la stessa cosa dopo che Egli è risorto dai
morti. Pietro occupa da solo, per così esprimermi, l’intero
capitolo 21 dell’evangelo di Giovanni, dove il Signore continua in
lui l’opera della grazia che aveva incominciata prima che lo
lasciasse, e la riprende esattamente nel punto in cui era rimasto.
Pietro aveva mostrato d’avere una gran confidenza in sé stesso,
quando disse : «Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di
caduta, non lo sarai mai per me... Quand’anche dovessi morire con
te, non ti rinnegherò». Ma il Signore gli aveva parlato della
vanità del suo vanto, dicendogli anche che Egli avrebbe pregato per
lui affinché la sua fede non venisse meno; e quando i fatti ebbero
dimostrato che questo suo modo di parlare non era altro se non
vanità, e che Pietro rinnegò il suo Signore perfino con un
giuramento, allora il Signore lo guardò, e questo sguardo produsse
il suo benefico effetto. La preghiera e lo sguardo valsero molto per
l’infelice discepolo: la preghiera impedì che la sua fede venisse
meno, e lo sguardo ruppe il suo cuore in pianto. Pietro non fuggì,
ma pianse, e «pianse
amaramente».
Ebbene,
come abbiamo detto, in principio del capitolo 21 di Giovanni,
troviamo Pietro nella stessa condizione, dove fu posto da quella
preghiera e da quello sguardo. Che la sua fede non sia venuta meno
viene provato dal fatto che appena sente che il Signore è sulla riva
del lago, si precipita nell’acqua por correre al Suo incontro. Però
non agisce come penitente, o come qualcuno che non abbia ancora
versato delle lacrime, ma come uno che poteva andare a Gesù in piena
confidenza e libertà di cuore; e come tale il Suo benedetto Signore
lo riceve, ed entrambi mangiano sulla riva. La preghiera e lo sguardo
avevano già avuto il loro effetto su Pietro, e non dovevano
ripetersi. Ciò che fa ora il Signore si è di continuare l’opera
che aveva cominciata e condurla alla perfezione; quindi
alla preghiera ed
allo sguardo fa
seguire la parola.
La riabilitazione viene sempre dopo la convinzione d’aver peccato e
dopo il relativo pentimento. Pietro aveva versato delle lacrime, ed
ora vien posto nella posizione di fortificare i suoi fratelli, come
il Signore gli aveva innanzi promesso; ed ora gli vien annunziato che
egli dovrà glorificare Dio con la sua morte, privilegio che egli
aveva perduto per la sua incredulità e per il suo rinnegamento.
Questo
è la parola di ristoro che fa seguito alla preghiera che già
sostenne la fede di Pietro, ed allo sguardo che già ruppe il suo
cuore. In Giovanni 13 il Signore aveva detto a questo suo amato
discepolo, che chi è lavato, non ha bisogno se non di lavare i
piedi; ed ora agisce con lui perfettamente come aveva insegnato. Non
lo lascia fare una seconda volta l’ esperienza del capitolo 5 di
Luca, dove per la pesca miracolosa egli conosce che è un peccatore,
ma quivi gli lava i piedi, lo ristora e lo mette di nuovo nella
posizione voluta (Giovanni 21:15-17).
Maestro
perfetto! — sempre lo stesso per noi ieri, oggi ed in eterno; lo
stesso in grazia, perfetto nel Suo immenso amore. Egli continua
l’opera che aveva già cominciata, e come Signore risuscitato,
riprende il servizio che aveva lasciato incompleto quando fu tolto
d’infra i Suoi; e lo riprende al medesimo punto dov’era rimasto,
riannodando così il passato col presente nella pienezza della Sua
grazia e capacità!
Andando
un po’ più innanzi, noi vediamo ancora come Egli adempiva alle Sue
promesse; voglio alludere specialmente ad una che fece dopo la Sua
risurrezione, quella che chiamò «la promessa del Padre» e «la
potenza dall’alto». Essa fu fatta in Luca 24 dopo la Sua
risurrezione, e fu adempita negli Atti 2 dopo che fu salito al cielo
e glorificato. Ciò continua la storia mai interrotta e la
testimonianza della Sua fedeltà. Tutto testimonia di Lui : la vita
che passò in sofferenze, le relazioni che ebbe con i Suoi dopo la
Sua risurrezione, e quel che ha fatto dopo che è salito al cielo —
tutto dice che presso di Lui non c’è alcun mutamento né ombra di
rivolgimento (Giacomo 1:17).
Non
vorrei lasciar passare inosservata un’altra prova di questo fatto
che abbiamo nel già citato capitolo 24 di Luca, dove il Signore
riconosce che i Suoi discepoli occupano lo stesso posto che avevano
allorché ricevettero le prime istruzioni. «Queste sono le cose»
Egli dice, «che io vi dicevo quand’ero ancora con voi: che si
dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè,
nei profeti e nei Salmi». Egli ricorda loro che fin d’allora aveva
loro detto che la Scrittura era la gran testimonianza dei pensieri di
Dio, e che tutto quello che stava scritto
in essa doveva
per certo avere il suo adempimento.
Ed ora che fa Egli? Continua in modo semplice e naturale i Suoi
ammaestramenti. — «Allora aprì loro la mente per capire le
Scritture». La Sua potenza presente
si unisce ai Suoi anteriori insegnamenti,
e così compie in loro ciò che aveva già cominciato a
comunicare (*).
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(*) Dirò a nostra consolazione che, dopo la Sua risurrezione, Egli non ricordò mai ai Suoi discepoli che l’àvevano abbandonato nel momento della distretta.
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(*) Dirò a nostra consolazione che, dopo la Sua risurrezione, Egli non ricordò mai ai Suoi discepoli che l’àvevano abbandonato nel momento della distretta.
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Percorrendo
gli evangeli, noi vediamo che la natura e lo spirito della Sua
relazione con i Suoi discepoli durante i quaranta giorni dopo la Sua
risurrezione sono, in un certo senso, quelli che aveva prima della
Sua morte. Egli li chiama per
nomecome
aveva fatto prima; si manifesta a loro negli stessi
modi;
siede a tavola come padrone di casa, quantunque sia soltanto un
invitato, come aveva già fatto altre volte (Giovanni 2; Luca 24); e
nell’interno dei loro pensieri e l’intelligenza del momento, i
Suoi discepoli consideravano la Sua presenza come già fecero in
Giovanni 4 al pozzo di Sichar. Là, non osavano parlare, e se ne
stavano in disparte silenziosi; così vediamo in Giovanni 21 che,
dopo la pesca miracolosa, nessun di loro ardisce parlare, giudicando
più conveniente di dire soltanto poche parole, quantunque i loro
cuori siano pieni di gioia e di stupore.
Quali
legami teneri e potenti nello stesso tempo ci sono mai tra Colui che
abbiamo conosciuto nelle comuni circostanze della vita, e Colui che
conosceremo per tutta l’eternità! — Egli venne quaggiù nelle
nostre circostanze, per quindi introdurci nelle Sue; ma è qui,
nelle nostre circostanze, dove abbiamo imparato a conoscerlo, a
conoscerlo per sempre.
Questo è una preziosa verità a cui Pietro rende testimonianza. Io
ho considerato questa scena di Giovanni 21 avendo già un altro
scopo, passo ora a considerarla una seconda volta.
Nella
pesca che vediamo prima della risurrezione in Luca 5, Pietro fu
convinto di peccato: Pietro il
pescatore diventò
ai propri occhi Pietro il
peccatore.
Il miracolo veduto, dimostrandogli che lo straniero che era salito
nella sua barca era il Signore di tutti i mari, lo condusse in
spirito alla presenza di Dio, e là avendo conosciuto sé stesso,
disse: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore!» Ed
invero nessuno di noi ha imparato questa lezione in un altro modo. Ma
il Signore immediatamente lo confortò dicendogli: «Non temere», e
Pietro fu rassicurato. La presenza di Dio, che prima l’aveva
convinto di peccato, ora è divenuta un luogo di rifugio per lui, ed
egli vi sta in perfetta sicurezza di cuore. Così vediamo nella
seconda pesca miracolosa (Giovanni 21), dopo la risurrezione, che
Pietro era sempre tranquillo, e non gli rimaneva se non di mettere in
pratica la lezione che avi di già appresa, il che fece
esperimentando che la presenza del Signore della gloria era per lui
un ricovero sicuro. Egli prova per sé stesso e testimonia a noi,
che ciò
che ha imparato da Gesù, l’ha imparato per sempre.
Egli non aveva riconosciuto quello straniero che stava sulla riva del
mare; ma appena Giovanni gli dice che è Gesù, lo straniero cessò
immediatamente d’essergli tale e gli si avvicinò il più che poté
ed il più presto possibile.
Quale
consolazione c’è in questo! — Se è incoraggiante per noi il
sapere che Gesù è sempre lo stesso, tanto qui come lassù nel
cielo, tanto nel nostro mondo come nel Suo, tanto nelle nostre misere
circostanze come nella Sua gloria, qual gioia sarebbe mai se qualcuno
di noi esperimentasse, come fece Pietro, la beatitudine di un tal
fatto nel suo proprio spirito!
Sì,
Gesù è veramente sempre lo stesso — fedele e veritiero! Tutto le
promesse che fece allorché soffriva, le adempì dopo essero risorto;
ed i diversi caratteri che rivestì quaggiù, li riveste ora nel
cielo.
Il
Signore dava del
continuo, ma raramente approvava; ovunque Egli trovasse che una
debole comunione, faceva grandi comunicazioni,
il che serve ad illustrare magnificamente la Sua bontà. C’era
nulla che Lo attraesse, eppure Egli impartiva continuamente del bene.
Egli fece come il Padre che è nel cielo, il quale fa sorgere il sole
sui buoni e sui cattivi; e fa piovere sopra i giusti e sopra gli
ingiusti. Questo c’insegna ciò che Egli è, alla Sua lode; e
c’insegna pure ciò che noi siamo, a nostra onta.
Gesù
però non fu solo la manifestazione del Padre per mezzo delle Sue
opere, ma fu pure «il Dio sconosciuto», del quale Paolo parlò agli
Ateniesi. Le tenebre non Lo compresero; ed il mondo, né per la sua
religione, né per la sua sapienza, non Lo conobbe. L’abbondante
ricchezza della Sua grazia, la purezza del Suo regno, le basi su cui
doveva unicamente poggiare la gloria che Egli cercò invano in questo
mondo, tutto era strano ai pensieri dei figli degli uomini, il che si
vede nei grandi orrori morali che commettevano continuamente. Quando,
per esempio, la moltitudine salutava con entusiasmo il Re nella Sua
persona, e l’avvenimento del regno (Luca 19), i Farisei gli dicono
subito: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!» Essi non avrebbero
potuto sopportare il pensiero che il trono di Davide appartenesse ad
un tal Uomo; ed era una presunzione, secondo loro, che questo Gesù
di Nazaret permettesse che l’aureola reale venisse a circondarlo.
Essi non conoscevano, non avevano voluto conoscere il segreto del
vero onore in mezzo a questo mondo bugiardo e decaduto. Essi non
avevano imparato a distinguere il mistero della «radice che esce da
un arido suolo», né i loro spiriti avevano percepito «il braccio
dell’Eterno» (Isaia 53). È soltanto dove il Suo Spirito conduce
il cuore che si impara a scoprire le cose che vennero dette di Lui —
cose dolci e varie secondo la loro misura.
Nel
capitolo 1 di Marco, molti approfittano del Suo ministero di grazia e
di potenza; gente con ogni sorta di malanni viene a Lui; la folla lo
ascolta e confessa la Sua antorità: ed un lebbroso si reca a Lui con
la sua lebbra riconoscendolo come il Dio d’Israele. C’era dunque,
in diversi gradi, una certa qual conoscenza di Gesù, sia intorno a
quel che era, come intorno a ciò che possedeva; ma entrando nel
capitolo 2 vi troviamo una conoscenza più estesa e che si esprime in
un modo più ampio e più brillante: vi troviamo esempi di quella
fede che Lo comprese,
e ciò è quanto vi ha di più profondo.
Quegli
uomini di Capernaum che portano il loro paralitico fino a Gesù, lo
capiscono e si valgono della Sua virtù; lo capiscono in Sé stesso,
nel Suo carattere, nelle abitudini o nei sentimenti della Sua mente.
Il modo con cui essi cercano di avvicinarlo ce lo dimostra: non si
vede né quella riservatezza, ni quel dubbio, né quel timore che
c’era generalmente in coloro che andavano per chiedergli qualche
benedizione; ma c’è piuttosto ciò che vi fu in Giacobbe allorché
disse all’Angelo col quale lottava: «Non ti lascerò andare prima
che tu mi abbia benedetto!» (Genesi 32:26). Un tal modo di fare è
sempre più gradevole al Signore che la titubanza, e corrisponde
maggiormente a ciò che l’amore ci ha recato. Essi non chiedono
permesso alcuno, non fanno cerimonie di sorta, ma scoprono il tetto
della casa, e scendono a Lui. Mostrano con ciò di conoscerlo e
d’essere penetrati da quel sentimento che Egli si diletta nel
vedere qualcuno che ha confidenza nella Sua grazia e che ricorre alla
Sua potenza ogni volta che si trova nel bisogno. Così fa Levi pochi
momenti dopo, come si vede dallo stesso capitolo: dà un pranzo, e fa
sedere dei pubblicani e dei peccatori in compagnia di Gesù. Si vede
da ciò che Leviconosceva il
Signore; sapeva chi ospitava,
nello stesso modo che Paolo sapeva a chi aveva creduto (2
Timoteo 1:12).
Questa
conoscenza del Signore Gesù ha veramente un gran pregio — essa
procede da Dio! La carne ed il sangue non possono darla, ed i Suoi
parenti stessi non la possedevano, poiché mentre Egli era tutto
intento al servizio, essi dicevano: «Egli è fuori di sé» (Marco
3:21). Ma la fede scopriva in Lui un tesoro inesauribile ed agiva in
conseguenza della sua scoperta. Può sembrare alle volte che essa ci
conduca oltre i limiti convenevoli spingendoci a far cose che
comunemente non si fanno; ma secondo il pensiero di Dio questo non
avviene giammai. La moltitudine disse ben a Bartimeo di tacere, ma
egli non tacque perché conosceva Gesù come lo conosceva Levi il
pubblicano (Marco 10).
La
pienezza dell’opera di Cristo oltrepassa ogni umano concetto;
eppure è là che consiste la Sua gloria. Egli viene a noi nella
nostra profonda miseria, ma nello stesso tempo vi introduce Dio; Egli
guarisce gl’infermi ma predica anche il regno; e ciò non conviene
all’uomo. Strano a dirsi! — l’uomo sa benissimo apprezzare i
suoi propri vantaggi; sente a parlare con piacere della gioia della
nuova natura, ma è tanta l’inimicizia della mente carnale contro a
Dio, che se la benedizione viene accompagnata dalla Sua presenza, non
è accettata. Ma lo scopo di Cristo essendo tanto la gloria di Dio
come la salvezza del povero peccatore, questa benedizione non può
giungere all’uomo in altra forma. Dio è stato disonorato in questo
mondo nello stesso modo che l’uomo fu rovinato — rovinato da sé
stesso; ed il Signore che vuol riparare la breccia, compie un’opera
perfetta che vendica il nome e la verità di Dio, annunziando il
regno ed i Suoi diritti; e manifesta la Sua gloria col redimere e
vivificare un povero peccatore morto nei suoi falli e nei suoi
peccati.
Questo
non piace all’uomo: egli vorrebbe occuparsi di sé stesso, e
lasciare la gloria di Dio il più lontano che sia possibile. Ma è
consolante invece quando si vede un peccatore qualsiasi essere
rinnovato per la fede, e reso capace di rallegrarsi in questa gloria
trascurata dalla maggior parte degli uomini: ne abbiamo un esempio
nella donna Sirofenice. La gloria del ministero di Cristo agì
potentemente sull’anima sua; ma, apparentemente, malgrado
l’afflizione di questa donna, il Signore Gesù mantiene i principi
di Dio e la rimanda come una straniera. «Io non sono stato mandato»,
dice Egli, «che alle pecore perdute della casa d’Israele... Non è
bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini» (Matteo
15:24,26). Ma essa si sottomette a questo linguaggio duro, riconosce
il Signore per il dispensatore della verità divina, e non vuol
supporre per un solo istante che egli abbandoni un simile incarico
(la verità e i principi di Dio) per lei e per le sue necessità.
Anzi essa vuole che Dio sia glorificato secondo i Suoi propri
consigli, che Gesù ne continui la fedele testimonianza, e che Egli
sia sempre il servitore della benevolenza di Dio. «Dici bene,
Signore», essa risponde, approvando tutto ciò che Egli le aveva
detto; ma come naturale conseguenza aggiunge: «eppure anche i
cagnolini mangiano delle brìciole che cadono dalla tavola dei loro
padroni» (Matteo 15:27).
Tutto
ciò è molto bello; è il frutto della luce divina nell’anima sua;
e la madre di Gesù nel capitolo 2 di Luca è interamente al disotto
di questa povera Gentile. Maria non seppe distinguere che Gesù
attendeva alle cose del Padre Suo; mentre questa straniera conobbe
che Egli se ne occupava continuamente, ed avrebbe voluto che le vie
di Dio fossero esaltate per la fedeltà di Gesù, quantunque essa
stessa fosse stata messa a parte in un momento di distretta.
Questo
è una vera conoscenza di Cristo nella pienezza dell’opera
Sua, vedendo in Lui quello che è venuto tanto per mantenere i
diritti di Dio in un mondo ribelle, come per rispondere ai bisogni
d’un povero peccatore perduto.
Non
è bene d’essere sempre compresi. La nostra condotta e le nostre
abitudini dovrebbero essere quelle di gente straniera, di cittadini
d’un lontano paese, la lingua, le leggi ed i costumi dei dei quali
sono ben poco conosciuti quaggiù. La carne ed il sangue non possono
apprezzarli, quindi non è indizio di prosperità spirituale per i
santi di Dio ogni volta che il mondo li capisce.
I
parenti stessi di Gesù non Lo conoscevano. Ed infatti: Lo conobbe
forse Sua madre quando gli chiese di spiegar la Sua potenza nel
procurare vino per continuare la festa delle nozze in Cana di Galilea
(Giovanni 2)? Lo conobbero forse i Suoi fratelli quando gli dissero:
«Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo» (Giovanni 7:4)?
Quale pensiero!
Essi
si sforzavano per indurre il Signore Gesù ad essere, come si suol
dire, «un uomo del mondo»! In cuori che avevano simili pensieri vi
poteva mai essere una vera conoscenza
della Sua augusta Persona? —
Essi ne erano lontani le mille miglia, e perciò l’evangelista vi
aggiunge immediatamente: «Poiché neppure i suoi fratelli credevano
in lui» (Giovanni 7:5). Conoscevano la Sua potenza,
ma non i Suoi principi;
poiché uniformandosi alla consuetudine umana, essi univano la
potenza e la capacità intelletuale con l’idea di doversene servire
per l’interesse dell’uomo in questo mondo.
Non
è però necessario il dire che Gesù era l’opposto di tutto
questo, e che quindi i Suoi parenti secondo la carne, guidati dallo
spirito di questo mondo, non potevano comprenderlo. I suoi principi
erano estranei ad un tal mondo, e venivano sprezzati come lo venne
Davide dalla figlia di Saul, quando ballava dinanzi all’arca del
patto.
Ma
quale attrattiva c’era in Lui per ogni occhio ed ogni cuore che
fosse stato aperto dallo Spirito Santo! — Ne abbiamo un esempio
negli apostoli: essi dottrinalmente Lo
conoscevano pochissimo, e guadagnavano nulla di stare con Lui, nulla,
cioè, di questo mondo. La loro condizione sociale non fu migliorata
dalla Sua compagnia, e non si può dire che essi si valessero della
Sua miracolosa potenza; ne dubitavano piuttosto, ma non ne usavano; e
con tutto ciò erano attaccati a Lui. Essi non Lo seguivano già
perché vedessero in Lui una fonte inesauribile che provvedeva a
tutti i loro bisogni: anzi si può dire non si servirono mai della
Sua potenza per loro stessi. E sì che erano con Lui, che si
contristavano quando parlava di abbandonarli e che piansero quando
pensarono d’averlo veramente perduto.
Sì,
lo ripetiamo: quale attrattiva vi doveva essere in Lui per ogni
occhio e per ogni cuore che fosse stato aperto dallo Spirito o
condotto dal Padre! E con quale autorità certe volte uno sguardo od
un motto produsse l’effetto desiderato! Lo vediamo in Matteo, ove
bastò che il Signore pronunziasse una sola parola: «Seguimi!» E
tale autorità ed attrattiva erano sentite da caratteri affatto
opposti; tanto dal pusillanimo Tomaso, che desiderava sempre
ragionare, come dall’ardente Pietro, che agiva di primo impulso e
spesso con imprudenza. Tomaso poi nel trovarsi in un ambiente così
meravigliosa, respira, direi quasi, quello spirito di zelo che
distingueva Pietro, e spinto dalla forza di questa attrazione, è
costretto a dire: «Andiamo anche noi, per morire con lui!»
(Giovanni 11:16).
Cosa
sarà quando anche noi vedremo e sentiremo tutto ciò nella sua
perfezione? — Quando tutta l’umana famiglia, quando popoli d’ogni
clima, d’ogni colore, d’ogni carattere, d’ogni nazione, d’ogni
lingua, saranno riuniti attorno al Signore in un mondo degno di Lui?
Noi dobbiamo ricordarci di questi saggi della sua preziosità verso
dei cuori simili al nostro, e ritenerli come un’arra sicura di ciò
che forma l’oggetto continuo della nostra speranza.
La
luce di Dio brilla alle volte dinanzi a noi, guidandoci, secondo la
forza che abbiamo, onde noi possiamo discernerla, gioirne, usarla e
seguirla. Essa non soltanto ci scruta od esige qualcosa da noi; ma,
come dissi, brilla agli occhi nostri, acciocché noi possiamo
rifletterla, secondo la grazia che ci è stata data. Vediamo che
compie l’opera sua nella primitiva Chiesa di Gerusalemme in questo
modo; in quel luogo la luce di Dio non
esigeva nulla,
ma brillava potente nel suo magnifico splendore; e questo è tutto.
Pietro parlò il linguaggio di questa luce quando disse ad Anania
:«Se questo non si vendeva, non restava tuo? E una volta venduto, il
ricavato non era a tua disposizione?» (Atti 5:4). Essa non chiese
nulla ad Anania, ma brillò semplicemente nella sua bellezza accanto
a lui o dinanzi, affinché potesse camminare nel suo splendore
secondo la sua misura. Tale è, in un senso più vasto, la gloria
morale del Signore Gesù; ed il nostro primo dovere riguardo a questa
gloria è d’imparare da essa cosa
Cristo sia.
Non dobbiamo cominciare con ansiosità o timore a misurarci di fronte
al suo abbagliante splendore, ma con calma, con grazia, e con
rendimenti di grazie dobbiamo studiare tutte le perfezioni morali
della Sua umanità. È vero che questa gloria ci ha lasciati, ora non
vi è più la Sua immagine vivente sulla terra; ne abbiamo bensì
le tracce negli
Evangeli, però in nessun luogo noi vi troviamo la sua luce!
Ma
quantunque Egli non sia più qui, pure è rimasto precisamente ciò
che Egli era. Noi dobbiamo conoscerlo, per così dire, dalla storia;
e la storia non è capace di tesserci delle favole, ma si trattiene
su cose viventi e vere, e così noi conosciamo Cristo per l’eternità.
I
discepoli conoscevano personalmente il
Signore in un modo eminente; era la Sua persona, la Sua presenza, Lui
stesso che li attraeva; è appunto di questo che abbiamo maggiormente
bisogno. Noi abbiamo un bel mostrarci affaccendati per istruirci
riguardo alle Sue verità, e possiamo benissimo far dei progressi in
ciò; ma con tutta la nostra conoscenza, se si tratta della potenza
d’una vera affezione verso di Lui, i discepoli con tutta la loro
ignoranza ci lasciano di gran lunga indietro. Certamente, cari
fratelli, non dobbiamo tacere che è sol quando il nostro cuore
sorpassa in affezione la conoscenza, che noi possiamo renderci conto
di Lui; è soltanto allora che impariamo veramente a conoscerlo. V’è
ben ancora qualche anima semplice che mostra di possedere una tal
cosa; ma generalmente non è così. Nei nostri tempi la luce che
possediamo e la conoscenza che abbiamo della verità sorpassano di
molto l’affezione che dimostriamo per il Signore; e ciò è
doloroso per chiunque abbia ancora un po’ di sensibilità a tal
riguardo.
«Il
privilegio della nostra fede cristiana,» dice qualcuno, «ed il
segreto della sua forza sta in ciò: che tutto quello che ha, e tutto
quello che offre, è concentrato in una persona.
Ecco ciò che le ha dato forza, mentre molte altre cose hanno
mostrato la loro debolezza: che essa, cioè, ha Cristo come perno,
che non ha circonferenza senza avere un centro; che essa non ha
soltanto la liberazione, ma che possiede il Liberatore; non solo la
redenzione, ma anche il Redentore. Questo è quanto la rende
appropriata per dei pellegrini come noi; questo è ciò che la rende
chiara come la luce del sole, e che fa apparire ogni altra paragonata
ad essa come una luce riflessa, la quale può esser bella, ma fredda
ed inefficace, mentre qua la luce e la vita sono una medesima cosa».
Ed altrove lo stesso autore dice: «Oh qual’immensa differenza vi è
tra il sottometterci ad un codice di regole e l’abbandonarci
liberamente in un cuore che palpita per noi, fra l’accettare un
sistema ed attaccarci ad una persona! La nostra benedizione — e non
dimentichiamolo — sta nell’avere tutti i nostri tesori accumulati
in una persona, la quale non è soltanto il maestro ed il Signore
vivente per una generazione, restando morto per quelle che seguono,
ma che è presente e vivente per tutte le generazioni». Secondo me,
queste parole sono buone e degne di ogni considerazione.
Oltre
al Suo carattere, possiamo anche notare nel Signore delle glorie
morali quanto al Suo ministero,
il quale si può considerare nella sua relazione con Dio,
con Satana e
con l’uomo.
Verso Dio,
il Signore Gesù nella Sua persona e nelle Sue vie rappresentò
sempre l’uomo dinanzi a Lui, come Egli l’avrebbe voluto. Ristorò
l’umana natura presentando Sé stesso come un sacrificio di riposo
o di odor soave, come un puro incenso d’una squisita fragranza,
come un cesto di frutte primaticce maturate sul terreno umano;
ristabilì il compiacimento di Dio nell’uomo che era stato tolto
dal peccato di Adamo; e mutò il pentimento di Dio d’aver fatto
l’uomo (Genesi 6:6) in diletto ed in gloria. E quest’offerta fu
fatta a Dio fra ogni sorta di contrarietà, ogni sorta di circostanze
avverse, di dolori, di fatiche, di necessità ed avversità che
rompevano il cuore. Meraviglioso altare! Meravigliosa offerta! —
Essa fu un sacrificio infinitamente più ricco di quello che avrebbe
potuto essere un’eternità d’innocenza adamitica; e nel modo che
Gesù rappresentò l’uomo a Dio, rappresentò pure Dio all’uomo.
Per
la caduta di Adamo, non c’era più sulla terra l’immagine (*) di
Dio; ma in Cristo troviamo l’immagine più piena e più
risplendente di Dio che Adamo avrebbe mai potuto presentare. Gesù
fece sì che, non un’ordinata creazione, ma un mondo rovinato ed
indegno conoscesse ciò che era Dio, manifestandolo in grazia e
dicendo: « Chi ha visto me, ha visto il Padre»
(Giovanni 14:9). In una parola, Egli rivelò Dio. Tutto ciò che è
divino, tutto ciò che si può sapere intorno «alla luce», che
nessun uomo può avvicinare, fu manifestato da Gesù agli occhi
nostri.
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(*) Cioè la rappresentazione o il rappresentante.
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(*) Cioè la rappresentazione o il rappresentante.
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Inoltre,
nel Suo ministero, considerato in relazione con Dio, vediamo che
Cristo è sempre zelante e fedele nel mantenere i diritti ed i divini
principi, mentre non cessa di prodigare le Sue tenere cure per lenire
i bisogni dell’umanità. Per quanto molteplici e differenti fossero
le miserie dell’uomo, Egli non vi sacrificò giammai qualcosa che
avesse attinenza con la santità e sovranità di Dio. Alla Sua
nascita il cantico di : «Gloria a Dio nei luoghi altissimi» si udì
unitamente a: «Pace in terra agli uomini ch’egli gradisce! »
(Luca 2:14); ed Egli rese gelosamente omaggio a questa divina gloria,
durante tutto il Suo ministero, nello stesso modo che servì
diligentemente ai bisogni dei poveri peccatori. L’eco di queste due
voci: «Gloria a Dio» e «Pace in terra» si fece sentire, per così
esprimermi, in tutte le occasioni. Il caso della donna Sirofenice,
che abbiamo già menzionato più sopra, ne è un esempio palpabile:
finché essa non prese il posto che le competeva in relazione con i
consigli e con le dispensazioni di Dio, Egli potè far nulla per lei;
ma appena prese il suo posto, le accorda tutto quello che richiedeva.
Ecco alcune delle glorie del Signore Gesù quanto al Suo ministero
verso Dio.
Ora
parliamo del Suo ministero in rapporto con Satana.
In primo luogo, e ciò molto a proposito, il Signore lo incontrò
quale tentatore.
Satana cercò nel deserto di sedurre Gesù con quelle corruzioni
morali con le quali era sì ben riuscito di penetrare in Adamo e
nella natura umana. Ma la vittoria riportata sopra il seduttore fu la
vera e necessaria introduzione di ogni opera o fatto del Signore
Gesù. Quindi fu lo Spirito che lo condusse all’adempimento di
quest’azione, come leggiamo in Matteo 4: «Allora Gesù fu condotto
dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo». Prima
che il Figlio dell’uomo potesse entrare nella casa dell’uomo
forte, e rapirgli la sua roba, bisognava che lo legasse (Matteo
12:29); e prima che Egli potesse denunciare le opere infruttuose
delle tenebre, bisognava che mostrasse che non vi partecipava
(Efesini 5:11). Egli dovette resistere al nemico, e tenerlo a
distanza, prima di poter entrare nel suo regno e distruggere le sue
opere.
In
tal modo Gesù ridusse Satana al silenzio;
lo legò; e questi dovette ritirarsi come un tentatore interamente
sconfitto. Esso non potè introdurre nulla del suo in Lui; anzi vide
che tutto quello che vi era veniva da Dio. Cristo rifiutò ciò che
Adamo sotto una simile tentazione aveva accettato; ed in tal modo
essendosi mantenuto puro, ha acquistato il titolo
perfettamente morale di
rimproverare l’impurità.
L’accusatore
potè dire in riguardo a Giobbe: «Pelle per pelle» (Giobbe 2:4),
usando parole che insultano e provocano la comune natura rovinata; ma
quale accusatore di Gesù davanti al trono di Dio, esso ebbe nulla a
dire e dovette tacere.
Ecco
come comincia la Sua relazione con Satana; e su una tal base Egli
entra nella sua casa e lo spoglia dei suoi beni. Questo mondo è la
casa di cui parliamo, ove il Signore nel Suo ministero si vede che
distrugge varie profonde tracce della potenza nemica. Ogni sordo o
cieco che fu guarito, ogni lebbroso nettato, ogni opera compiuta
dalla Sua mano ristoratrice, qualunque essa fosse, era precisamente
lo spogliare dei suoi beni l’uomo forte nella sua propria casa.
Avendolo innanzi legato, gli rapisce la sua roba; ed alla fine però
si dà a lui come a quello che ha «il potere sulla morte» (Ebrei
2:14). Il Calvario infatti fu l’ora della potenza delle tenebre
(Luca 22:53); là Satana spiegò tutte le sue forze, mise in giuoco
tutte le sue astuzie, usò di tutte le sue finezze; ma fu vinto. Il
suo prigioniero divenne il suo vincitore, il quale per la morte
distrusse colui che aveva l’imperio su di essa, e tolse il peccato
per il sacrificio di Sé stesso. Il capo del serpente è pur là che
venne schiacciato, come ben disse un altro, che «la morte e
non 1’uomo fu
senza forza».
Così
Gesù il Figlio di Dio fu colui che schiacciò Satana,
dopo averlo legato e spogliato dei
suoi beni. Ma c’è un’altra gloria morale che si vede a brillare
nel ministero di Cristo in relazione con Satana; e questa consiste
nel fatto che gli
permise mai di rendere testimonianza di Lui.
La testimonianza poteva essere vera e concepita in termini molti
seducenti come, per esempio: «Io so chi sei: Il Santo di Dio!»
(Marco 1:24); ma Gesù non permise che egli parlasse, poiché il Suo
ministero doveva essere puro come
la Sua grazia. Egli non accettò giammai la cooperazione di ciò che
era venuto per distruggere, e nel suo servizio non potè mai avere
comunione con le tenebre, come non ne ebbe mai nella Sua natura. Egli
non agì mai dietro le convenienze, quindi il rifiuto e l’intimazione
del silenzio fu la risposta che diede alla testimonianza che il
nemico voleva rendergli (*).
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(*) In quanto che il ministero di Cristo, descritto nei Vangeli, ci vien presentato in relazione a Satana, noi vediamo che Egli è semplicemente colui che lo lega, che lo spoglia e che lo schiaccia. Nell’Apocalisse, invece, vediamo qualcosa di più: Satana vien gettato giù dal cielo; e poi, giunto il suo tempo, è legato per mille anni; quindi vien gettato nello stagno del fuoco e dello zolfo (Apocalisse 12 e 20). Così noi vediamo la completa vittoria, riportata dal Signore Gesù sopra Satana dalla prima tentazione nel deserto fino al lago di fuoco che durerà eternamente.
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(*) In quanto che il ministero di Cristo, descritto nei Vangeli, ci vien presentato in relazione a Satana, noi vediamo che Egli è semplicemente colui che lo lega, che lo spoglia e che lo schiaccia. Nell’Apocalisse, invece, vediamo qualcosa di più: Satana vien gettato giù dal cielo; e poi, giunto il suo tempo, è legato per mille anni; quindi vien gettato nello stagno del fuoco e dello zolfo (Apocalisse 12 e 20). Così noi vediamo la completa vittoria, riportata dal Signore Gesù sopra Satana dalla prima tentazione nel deserto fino al lago di fuoco che durerà eternamente.
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Finalmente
il ministero del Signore Gesù, in rapporto con l’uomo,
brilla anch’esso di glorie pure ed eccellenti. Leggendo i Vangeli,
Lo si vede costantemente in attitudine di consolare e servire l’uomo
secondo le sue molteplici miserie,
madimostrandogli contemporaneamente
ch’esso ha una natura interamente lontana da Dio ed in preda alla
rivolta ed all’apostasia. Inoltre vediamo che Egli lo mette alla
prova; e ciò è degno d’essere particolarmente considerato,
quantunque generalmente gli si dia poca importanza. Nei Suoi
insegnamenti Egli prova i Suoi interlocutori, qualunque sia il genere
di relazione che hanno con Lui; tanto i discepoli come la
moltitudine; tanto coloro che venivano a Lui amichevolmente portando
le loro angustie, come coloro che si opponevano con manifesta
inimicizia. Quando Egli si trovava con i discepoli, li faceva passare
continuamente per esercizi di cuore o di coscienza così comuni, che
è inutile il ripeterli. Così agiva con le moltitudini che lo
seguivano: «Ascoltate ed intendete», diceva loro, esercitando in
tal modo le loro menti.
A
molti che vennero a Lui per essere liberati dalle loro pene, disse:
«Credete voi che io possa far questo?» o qualcosa di simile; e la
donna Sirofenice è una chiara testimonianza del modo con cui Egli
abbia provato questa classe di persone.
Parlando
affabilmente con Simone in Luca 7, dopo avergli raccontato la storia
dell’uomo che aveva due debitori, per metterlo alla prova gli
chiese: «Chi di loro dunque lo amerà di più?», mostrandoci con
ciò che anche i Farisei, i Suoi instancabili nemici, erano
costantemente provati. Questo ci dice e ci testimonia ciò che Gesù
era; ci dice che Egli non voleva eseguire un giudizio sommario sopra
di essi, ma piuttosto condurli al pentimento. E così volendo provare
i Suoi discepoli, c’insegna che noi impariamo per bene le Sue
lezioni sol quando il nostro cuore o la nostra coscienza esprimono
qualche attività d’intendimento sopra di esse.
Questo
modo di esercitare coloro che Egli dirigeva ed insegnava è per certo
un’altra delle tante glorie morali che caratterizzano il Suo
ministero.
Inoltre,
nel Suo ministero verso l’uomo, vediamo che il Signore
Gesù rimproverava frequentemente,
essendo ciò indispensabile in mezzo all’umana famiglia; ma il Suo
modo di rimproverare è degno d’ammirazione. Quando Egli biasimava
i Farisei, i quali per la mondanità dei
loro cuori gli facevano opposizione, usava un linguaggio severo e
solenne, dicendo: «Chi non è con me è contro di me» (Matteo
12:30); e quando voleva alludere a coloro che Lo confessavano e Lo
amavano, ma che abbisognavano maggior potenza di fede o maggior luce
per godere meglio della Sua comunione, Egli si esprimeva in altri
termini dicendo: «Chi non è contro di voi è per voi» (Luca 9:50).
Lo vediamo pure agire con questo carattere in Matteo 20, quando si
tratta dei dieci e dei due fratelli, figli di Zebedeo. Come egli
addolcisce il Suo rimprovero, dovendolo rivolgere ad individui presso
i quali c’erano molte cose buone e giuste! Ed in ciò Egli non
condivise la collera dei Suoi discepoli, i quali non avrebbero
risparmiato per nessun conto i due fratelli. Egli esamina
pazientemente ogni cosa, e separa ciò che è prezioso da ciò che è
vile.
Similmente
lo vediamo muovere rimprovero a Giovanni, allorché questi proibì
uno di scacciare demoni nel nome di Gesù, perché non camminava con
loro. Ma in quel momento lo spirito di Giovanni era stato
disciplinato; ed alla luce delle parole pronunziate precedentemente
dal Signore (vedi Luca 9:46-50), egli aveva scoperto lo sbaglio
commesso, e lo racconta, quantunque il Signore non vi avesse fatto la
più piccola allusione. Così Giovanni, conscio dello sbaglio
commesso, avendolo confessato ingenuamente, il Signore agisce verso
di lui con grande dolcezza.
Troviamo
ancora un caso simile in Matteo 11, quando Gesù censura il Battista,
pure rendendogli una bella testimonianza. Questi era in prigione, il
che, in quel momento, aveva un gran pregio agli occhi del Signore, ma
bisognava censurarlo per aver mandato un’ambasciata al Suo Signore
che accludeva un acerbo rimprovero. Però la delicatezza di questa
censura è magnifica; Egli rimanda il messaggio a Giovanni
aggiungendovi poche parole, che soltanto lui poteva comprendere:
«Beato colui che non si sarà scandalizzato di me» (Matteo 11:6).
Persino gli stessi discepoli del Battista che erano i messaggieri,
non erano al caso di capire la portata di queste parole. Gesù voleva
che Giovanni scoprisse a sé stesso la mancanza di fede, ma non mai
esporlo al biasimo dei Suoi discepoli od ai motteggi del mondo.
Così
dicasi della censura che inflisse ai due discepoli di Emmaus ed a
Tomaso dopo la risurrezione. Pietro pure dovette essere rimproverato
in Matteo 16 e 17; ma il rimprovero gli vien diretto differentemente
a seconda dell’occasione.
Tutte
queste differenze però formano un insieme di morale bellezza che è
veramente edificante. Possiamo dire che il Suo stile sia esso stato
perentorio o delicato, pungente o mite; che la Sua ammonizione sia
essa stata ridotta ad essere appena percettibile, o concepita in
termini che s’accostarono alla ripulsa; pure, quando tutto viene
ben pesato secondo le circostanze, si troverà certamente che queste
varietà non sono altro che la rivelazione di nuove perfezioni. Tutti
questi rimproveri erano « un anello d’oro, un ornamento d’oro
fino», che fossero appesi o non ad «un orecchio docile» (Proverbi
25:12). «Mi percuota pure il giusto; sarà un favore; mi riprenda
pure; sarà come olio sul capo; il mio capo non lo rifiuterà»
(Salmo 141:5); ed il Signore fece provare ciò ai Suoi amati
discepoli.
In
questo modo ho tracciato alcuni tratti della gloria morale del
Signore Gesù Cristo. Egli rappresentò l’uomo davanti a Dio
secondo che esso avrebbe dovuto essere, e Dio si riposò in Lui.
Questa
perfezione morale di Cristo come uomo e la Sua accettazione presso
Dio erano raffigurate nell’offerta di panatica, fatta con fior di
farina e cotta nel forno o nella padella col suo olio e col suo
incenso (Levitico 2).
Quando
il Signore Gesù era sulla terra in mezzo agli uomini e manifestato a
Dio come uomo, Dio esprimeva continuamente in Lui il Suo
compiacimento. Egli crebbe al Suo cospetto nella natura umana e
nell’esposizione di tutte le umane virtù; talché non aveva
bisogno in qualsiasi momento avesse voluto raccomandarsi, che di Sé
stesso, appunto come Egli era. L’uomo fu moralmente glorificato
tanto nella Sua persona come nelle Sue vie, di modo che quando giunse
la fine della sua carriera, Egli potè andare «direttamente»
a Dio, come l’antica fascio delle primizie veniva tolta dal campo
tal quale essa era, e senza subire nessun processo preparatorio
veniva direttamente ed immediatamente presentata ed accettata da Dio
(Levitico 23:10).
Le
ragioni di Gesù sulla gloria furono delle ragioni morali.
Egli ebbe moralmente diritto d’essere glorificato; e questo diritto
risiedeva in Lui stesso. I versetti 31-32 del capitolo 13 di Giovanni
mettono ciò chiaramente in rilievo e nella connessione voluta. Là
il Signore, appena Giuda è uscito da tavola, dice: «Ora il Figlio
dell’uomo è glorificato»; poiché questo atto di Giuda era il
sicuro precursore dell’arresto del Signore da parte dei Giudei, e
questo era a sua volta il sicuro precursore della sua crocifissione
da parte dei Gentili. E la croce essendo il compimento e la
perfezione dell’intiera forma di gloria
morale in Lui,
era il momento di pronunciare queste parole: «Ora il Figlio
dell’uomo è glorificato », aggiungendovi: «e Dio è glorificato
in lui».
Ma
Dio fu pure perfettamente glorificato come lo fu il Figlio dell’uomo,
quantunque la Sua gloria fosse differente. Allora il Figlio dell’uomo
fu glorificato per aver completato quella
piena forma di bellezza morale che brillò del continuo durante tutta
la Sua vita. Nemmeno la più piccola particella di essa vi poteva
mancare in quel sublime momento, nello stesso modo che dal principio
fino a quest’ultimo istante non fu mai congiunta con qualcosa che
ne fosse stata indegna; e quella era l’ora definitiva nella quale
doveva brillare l’ultimo suo raggio per manifestarne il suo pieno
splendore. Ma anche Dio fu glorificato allora, poiché tutto ciò che
aveva attinenza col Suo Essere fu mantenuto e manifestato. Furono
mantenuti i Suoi diritti e manifestata la Sua bontà. La grazia e la
verità, la giustizia e la pace furono similmente ed egualmente
soddisfatte e compiaciute. La verità di Dio, la Sua Santità, il Suo
amore, la Sua maestà, tutto insomma fu magnificato in un modo ed
illustrato così chiaramente, che non se ne avrebbe potuto saper di
più altrimenti. La croce, come ben disse uno, è la meraviglia
morale dell’universo.
Ma
il Signore aggiunse ancora: « Se Dio è glorificato in lui, Dio lo
glorificherà anche in sé stesso e lo glorificherà presto». Questo
è il riconoscimento del proprio diritto ad una gloria personale.
Egli ha sempre completato con perfezione l’intiera forma di
gloria morale,
sia durante la Sua vita che nella Sua morte; ha inoltre rivendicato
la gloria di Dio, come abbiamo veduto; quindi fu cosa giusta che Egli
abbia potuto entrare nella Sua
propria gloria,
il che fece quando salì prontamente al cielo alla destra della
Maestà, trovandosi ad un tratto in compagnia con Dio.
L’opera
di Dio come Creatore fu ben tosto guastata dall’uomo, il quale
essendosi rovinato col peccato, Dio «si pentì d’averlo fatto»
(Genesi 6:6). Qual terribile cambiamento si operò nel pensiero di
Dio da quel giorno in cui Egli aveva trovato che la creazione era
molto buona! (Genesi 1:31); ma nel Signore Gesù venne ristabilito il
divino compiacimento nell’uomo, il che è una benedizione ancor più
aggradevole dopo quel precedente Suo pentimento di averlo creato. Ciò
fu più che la Sua primitiva grazia quando vide che «tutto era molto
buono», ma fu il riacquisto dopo una perdita ed un disinganno. E
come il primo uomo, quando peccò, fu posto fuori da
quello stato di benedizione inerente alla creazione, così il secondo
uomo (essendo il Signore venuto dal cielo) quando glorificò Dio, fu
elevato alla destra della Maestà nei luoghi celesti quale capo su
tutto il creato. Gesù è nel cielo quale uomo glorificato, perché
quaggiù Dio fu glorificato in Lui essendo stato ubbidiente in vita
ed in morte. È bensì vero ch’Egli è là rivestito di altri
caratteri che noi conosciamo: Egli è là come Vincitore, come Colui
che aspetta, come Sommo Sacerdote nel tabernacolo eretto da Dio, come
Precursore, e come Colui che ha fatto la purificazione dei nostri
peccati; ma è anche là glorificato, nel più alto dei cieli, perché
Dio fu glorificato in Lui qui sulla terra.
Vita
e gloria gli appartenevano, sia per diritto personale, come per
ragioni morali; ed il dimorare in simile verità, ricordandocelo
ripetute volte, rallegra veramente il cuore. Egli non perdette il
giardino di Eden; ma, com’è ben vero, camminò sempre fuori di
esso, tra le spine ed i triboli, i dolori e le privazioni di un mondo
rovinato. Questo però lo fece in grazia; scelse una simile
condizione, ma non fu esposto ad essa. Egli non fu, come Adamo, e
come noi tutti, messi da una parte dei cherubini e guardati con la
spada fiammeggiante, mentre dall’altro v’erano l’albero della
vita ed il giardino dell’Eden; anzi vediamo dalla Sua storia che
invece di angeli per tenerlo lontano, quando Egli vinse la Sua
tentazione, essi si avvicinarono a lui e lo servivano. Egli stette
ritto dove Adamo cadda; ed essendo uomo, veramente uomo, Egli venne
distinto da tutti gli altri uomini. Dio fu glorificato in Lui nello
stesso modo che in tutti quelli che lo precedettero fu disonorato e
disilluso.
In
un certo senso, questa perfezione del Figlio dell’uomo, questa
perfezione morale è tutta per noi. Essa dà, per così dire, il suo
sapore al sangue versato in espiazione dei nostri peccati. Essa fu
come la nuvola d’incenso che veniva posta alla presenza del Signore
insieme al sangue nel giorno dell’espiazione (Levitico 16).
Ma,
in un altro senso, questa perfezione è troppo per noi; essa è
troppo elevata perché noi la possiamo afferrare. Ci schiaccia se
pensiamo a ciò che noi siamo,
mentre invece ci riempie d’ammirazione se la riguardiamo come
dicendoci ciò cheEgli è.
La gloria personale del giudicio anticamente si manifestava sempre
incutendo un grande timore. I più favoriti fra i figli degli uomini,
come Isaia, Ezechiele e Daniele, non poterono resistere alla sua
presenza; e la stessa cosa esperimentarono Pietro e Giovanni. Così
ogni volta che noi consideriamo questa gloria morale, ci sentiamo
come schiacciati dalla sua elevatezza.
Però
la fede, trovandosi nella sua presenza, è affatto nel suo elemento.
Il dio di questo mondo acceca le menti al punto d’impedirne non
solo la gioia, ma persino la concezione; la fede però le dà il
benvenuto e si compiace in essa. Ecco ciò che succede quaggiù fra
gli uomini su simile materia! Alla presenza di questa gloria i
Farisei ed i Sadducei domandarono un segno; Sua madre, per causa
della vanità, non la comprese; neppure la compresero i fratelli del
Signore per causa della loro mondanità (Giovanni 2 e 7); ed i
discepoli stessi ne erano costantemente rimproverati. L’olio
d’oliva preparato per questa luce forse era troppo puro per molti,
ma esso bruciava sempre nel santuario alla «presenza dell’Eterno».
La sinagoga di Nazaret ci mostra in un modo sorprendente che l’uomo
non ha disposizione per questo. Tutti riconobbero l’assennato
parlare che procedeva dalla bocca del Signore; ne sentirono la
potenza; ma subito una forte corrente di corruzione della natura
incominciò ad opporsi a questo movimento dei loro cuori e li vinse.
Bene scopersero la testimonianza di Dio in mezzo a questo mondo in
rivolta e presuntuoso; ma ciò non fece per loro. Il «figlio di
Giuseppe» parli pure come vuole, dica pure delle buone e consolanti
parole, ciò non monta, esse non sono accettate, perché è figlio
d’un falegname (Luca 4). Qual meravigliosa testimonianza d’una
corruzione profonda ed incurabile! L’uomo ha le sue amabilità, i
suoi gusti, le sue virtù, le sue sensibilità, come vediamo in
questa scena di Nazaret, raccontataci nel capitolo 4 di Luca; le
buone parole di Gesù fanno nascere una corrente di buoni pensieri
che dura per un momento; ma che ne avvenne di tutto ciò quando Dio
volle provarlo? Ah! cari fratelli, noi dobbiamo pur sempre dire che
nella nostra amabilità e nelle nostre doti rispettabili, nel nostro
gusto e nelle nostre emozioni, che in noi stessi insomma (cioè nella
nostra carne) «non abita alcun bene» (Romani 7:18).
La
fede, ripeto, si trova al largo con Cristo. Possiamo noi trattare un
Tale con timore o con sospetto? — Possiamo noi dubitare di Lui? —
Possiamo noi stare lontano da Colui che sedette sul pozzo di Sichar
con la donna Samaritana? — Stette essa lungi da Lui? — Per certo,
cari fratelli, noi dovremmo piuttosto cercare la Sua intimità. I
discepoli che Lo seguivano avevano anch’essi da imparare
ripetutamente le loro lezioni, e noi ne vediamo qualche cosa leggendo
i Vangeli. Invece di fermarsi leggermente su quanto avevano già
scoperto in Lui, essi dovevano far nuove scoperte e cercar di
conoscerlo sempre più. Nel capitolo 14 di Matteo essi dovettero
confessare: «Veramente tu sei Figlio di Dio», il che fu per loro
una nuova scoperta. Se avessero avuto una fede semplice, essi
avrebbero dormito sulla barca tranquillamente; ma quale scena vi fu
mai a loro onta ed alla Sua gloria! Essi parlarono con arroganza
quando rimproverarono il Signore, come se Egli fosse stato
indifferente al loro pericolo: «Maestro, non t’importa che noi
moriamo?» Egli si svegliò al suono della loro voce, e subito li
pose in sicurezza; ma in seguito li rimproverò, non tanto per
l’ingiustizia delle loro parole a Suo riguardo, ma per la loro
mancanza di fede.
Come
fu perfetto ciò! Come fu perfetta ogni cosa, e ciascuna nel suo
genere: le umane virtù, i frutti dell’unzione che c’era sopra
Lui, e le Sue glorie divine. Le due nature non sono confuse
nell’Unica Persona del Signore Gesù; se non che lo splendore della
divina natura è velato e la bassezza dell’umana natura è elevata.
Non v’è nulla, e non vi potrebbe essere nulla di simile in tutta
la creazione: la natura umana fu perfettamente umana, e la divina fu
perfettamente divina. Gesù dormiva nella barca — Egli era uomo.
Gesù acquetò il vento e le onde del mare — Egli era Dio.
Questa
gloria morale deve brillare anch’essa, e le altre le lasceranno
posto finché ciò sia avvenuto. I Greci che vennero alla festa di
Gerusalemme per adorare, domandarono di Gesù, desiderando di
vederlo. Ciò fu un saggio della gloria reale del Messia, quando le
nazioni si recheranno alla città dei Giudei per adorare, e che Egli,
quale Re in Sion, sarà il Signore di tutti e il Dio di tutta la
terra.
Ma
c’era qualcosa di più profondo che questo; e per scorgerlo
bisognava avere un sentimento più giusto delle vie di Dio che non la
semplice aspettativa d’un regno. I Farisei abbisognavano di ciò
quando chiedevano al Signore quando verrebbe il regno di Dio (Luca
17:20). Egli dovette parlar loro d’un altro regno che essi non
compresero — un regno in
mezzo a loro,
un regno presente che sarebbe venuto e conosciuto prima che il
glorioso regno manifestato apparisse.
I discepoli pure avevano bisogno di ciò quando domandarono al
Signore se avrebbe restituito allora il regno ad Israele (Atti 1).
Egli invece dovette parlar loro di un’altra cosa prima che la
ristorazione potesse aver luogo; dovette annunziar loro che avrebbero
ricevuto lo Spirito per testimoniare di Lui a tutto il mondo.
Così
qui, in Giovanni 12, il Signore c’insegna che la gloria
morale deve
precedere il regno. Certamente Egli brillerà quanto prima nella
gloria del trono, ed i Gentili andranno allora a Sion per vedere il
Re in tutta la Sua bellezza; ma prima che questo avvenga, la gloria
morale deve essere manifestata nella sua pienezza e purezza. Questo
fu il Suo pensiero, quando disse ai Gentili che avevano voluto
vederlo: «L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo dev’essere
glorificato» (Giovanni 12:23). Questa fu la Sua gloria morale, come
abbiamo già detto in Giovanni 13:31-32. Essa brillò tutto il lungo
del Suo cammino, dalla Sua nascita fin qui; la Sua morte doveva
servire per completarla; e quindi era appunto giunto il momento in
cui essa doveva gettare il suo ultimo raggio che la conducesse alla
perfezione. Perciò il Signore, in questa circostanza, introduce
(come fece, e come noi abbiamo veduto in Luca 17 ed in Atti 1) una
verità addizionale, che, per comprendere, richiedeva una conoscenza
più ricca e più esatto delle vie di Dio: la gloria morale deve
essere pienamente manifestata prima che il Messia possa mostrarsi
nella Sua gloria reale a tutta quanta la terra.
Però
questa gloria è Sua, escludendo la partecipazione di chicchessia.
Come è lungi dal Suo cuore ogni altro pensiero! Quando i cieli si
apersero in Atti 10, il lenzuolo fu visto discendere prima che Pietro
ricevesse il comando di avere comunione con esso, e prima che esso
risalisse e fosse perduto nuovamente in alto: il suo contenuto doveva
essere purificato o santificato. Ma quando i cieli si apersero in
Matteo 3, Gesù sulla terra non ebbe bisogno d’essere rapito per
ricevere l’approvazione lassù, ma delle voci e delle visioni dal
cielo suggellarono e gli attestarono appunto chi Egli era: «Questo è
il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto».
E
quando i cieli furono nuovamente aperti in Matteo 27, cioè quando il
velo del tempio si fendè in due, tutto era finito, non si aveva più
bisogno di nulla, l’opera di Gesù era compiuta. Il cielo, aperto
in principio, mostrò la piena accettazione della Sua persona;
ed il cielo aperto alla fine mostrò la piena accettazione della
Sua opera.
Permettetemi
che io chiuda dicendo che è una benedizione ed una felicità, come
pure è parte del nostro culto il notare il carattere delle vie del
Signore e del Suo ministero qui sulla terra, come ho cercato di fare
in qualche misura con questo breve scritto; poiché tutto quello che
Egli fece e che Egli disse, tutto il Suo servizio, tanto nella
sostanza come nella forma, è la testimonianza di ciò che Egli era,
e testimonia a noi ciò che Dio è. Così noi, seguendo i passi del
Signore Gesù, tracciati nei Vangeli, ci avviciniamo al Dio
benedetto. Ogni passo su questa via acquista importanza per noi.
Tutto quello che fece e che disse era la pura realtà, la vera
espressione di Sé stesso; ed era realmente la vera espressione di
Dio. E se noi possiamo comprendere il carattere del Suo ministero,
vedere quella gloria morale che è legata ad ogni momento e ad ogni
particolare del Suo cammino e del Suo servizio qui sulla terra, ed
imparare così ciò che Egli è, e ciò che è Dio, noi ci accostiamo
a Dio con una certa e chiara conoscenza di Lui per mezzo
dell’ordinario cammino ed attività della vita di questo divino
Figlio dell’uomo.
Dio ci benedica!
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