mercoledì 17 agosto 2016

La gloria morale del Signore Gesù Cristo (Parte 1a)

La gloria morale del Signore Gesù Cristo


«Quando qualcuno offrirà all’Eterno un’oblazione, la sua offerta sarà di fior di farina, su cui verserà dell’olio, e vi aggiungerà dell’incenso. La porterà ai sacerdoti figli d’Aaronne; il sacerdote prenderà una manciata piena del fior di farina spruzzato d’olio, con tutto l’incenso, e farà bruciare ogni cosa sull’altare, come ricordo. Questo è un sacrificio di profumo soave, consumato dal fuoco per l’Eterno». Levitico 2:1-2 





1. Introduzione

L’oggetto di cui si tratta in questa meditazione è la gloria morale di Gesù, od in altri termini il carattere del Signore come uomo. Tutto quello che c’era in Lui salì a Dio come un sacrificio di odor soave: ogni Sua espressione, per quanta piccola si fosse, e a qualsiasi circostanza andasse accompagnata, si mostrò sempre come un sacrificio di profumo accettevole a Dio. In Lui, ed in Lui soltanto, l’uomo fu riconciliato con Dio. Per Lui Dio trovò ancora il Suo compiacimento nell’uomo; e ciò in un modo più vantaggioso, poiché in Gesù l’uomo è di gran lunga più aggradevole a Dio di quanto lo potesse essere in un’eternità d’innocenza adamitica.
Quantunque io sia convinto che nella meditazione proposta non mi riesca di mettere al chiaro se non una piccolissima parte d’un soggetto cosi degno d’ammirazione, spero però di risvegliare in altre anime degli utili pensieri, il che in ogni modo sarà sempre una grande benedizione.
È dunque la manifestazione del Signore come Dio e uomo ad un tempo in un Cristo che io desidero presentare ai miei lettori. Parlerò anche dell’opera Sua, cioè il servizio delle sofferenze e dello spargimento del Suo sangue, per il quale la riconcilazione è stata compiuta ed è adesso predicata per l’accettazione e la gioia della fede.

2. Tre aspetti della gloria del Signore Gesù

La gloria del Signore Gesù può essere considerata sotto tre aspetti : quanto alla Sua persona fisica, quanto alla Sua dignità ufficiale, e quanto al Suo carattere. La gloria della Sua persona fu sempre tenuta nascosta, eccetto quando la fede sapeva scoprirla, o quando le circostanze ne necessitavano la rivelazione. Parimenti per quanto rifletteva alla Sua dignità ufficiale: Ei la teneva velata, poiché andava di luogo in luogo, né come il Figlio di Dio venendo dal seno del Padre, né come il figlio di Davide rivestito d’autorità reale. Questi due aspetti della Sua gloria restavano per lo più nascosti durante le Sue peregrinazioni fra le differenti circostanze della vita quotidiana; ma la Sua gloria morale non poteva giammai rimaner nascosta. Egli non poteva annullare, neanche in minima parte, questa Sua perfezione, poiché questa Lo caratterizzava in modo speciale, mostrando veramente ciò che Egli era. L’eccellenza di questa gloria si mostrava persino troppo abbagliante per l’occhio umano; e l’uomo si sentiva del continuo giudicato per essa. Ma che l’uomo potesse sopportarla o no, essa risplendeva con i suoi raggi in ogni direzione; ed ora illumina ogni pagina dei quattro Evangeli, nello stesso modo come un tempo illuminava le vie per le quali il Signore passava.

3. Ogni cosa a suo tempo

Qualcuno disse del Signore Gesù che la Sua umanità sia stata affatto naturale nel suo sviluppo; quest’osservazione è molto bella e vera, ed il secondo capitolo di Luca basterebbe per togliere ogni dubbio a tale riguardo. In Gesù non vi fu nessuno sviluppo di persona che non fosse stato naturale; Egli progredì in tutti i modi e con perfetta regolarità; la sapienza crebbe in Lui nella stessa misura con cui crebbero la Sua età e statura. Da fanciullo diventò uomo; e come tale, essendo l’uomo di Dio in questo mondo, testimoniò che le opere di esso sono malvage, ed il mondo Lo odiò; ma come fanciullo (un fanciullo secondo il cuor di Dio) Egli fu soggetto ai Suoi genitori e sottomesso alla legge in modo perfetto; così Egli crebbe ed avanzò in grazia davanti a Dio e agli uomini.
Ma quantunque, come abbiamo visto, vi fossero stati dei progressi in Lui, pure non si scorse in Lui né imperfezione di sorta, né cattiva inclinazione, né trasgressione alcuna; ed ecco ciò che Lo distingue da tutti gli altri uomini. Di Maria, Sua madre, ci viene detto che ella riteneva nel cuor suo tutte le parole che Gesù diceva; ma con tutto ciò vediamo che l’anima sua è turbata da inquietudini e circondata persino di tenebre, di modo che il Signore è costretto di dirle :«Perché mi avete cercato?» (Luca 2:49) In Gesù, invece, ogni progresso prende sempre la stessa forma di bellezza morale, ed il Suo accrescimento è regolare come deve essere in ogni uomo. Aggiungo inoltre che come la Sua umanità era in tutto naturale nel suo sviluppo, così il Suo carattere si mostrava in tutte le sue espressioni come essendo affatto umano. Tutto ciò che rivelava questo carattere era, per così esprimermi, particolare all’uomo.
Egli era «l’albero piantato vicino a ruscelli, il quale dà il suo frutto nella sua stagione» (Salmo 1:3). Tutte le cose non sono belle che nel loro proprio tempo; così la gloria morale del «fanciullo Gesù» sfoggiò nei Suoi giorni e tra la Sua generazione ed allorché il fanciullo diventò uomo, la medesima gloria si manifestò sotto altre forme. Gesù sapeva quando doveva soddisfare ad un diritto che Sua madre sosteneva; sapeva quando era il momento di opporvisi quando ella sollevava pretese ingiustificate; e sapeva inoltre sottomettersi ai bisogni delle circostanze, quand’anche la madre Sua non accampasse nessuna pretesa (Luca 2:51, 3:21, Giovanni 19:27). Ovunque noi Lo seguiamo, troviamo lo stesso tratto di perfezione nel giudicare e nell’agire. Egli ha conosciuto il Getsemane a suo tempo e secondo il suo vero valore, come innanzi aveva conosciuto il monte santo a suo tempo; conosceva il pozzo di Sichar, ed apprese la via che Lo condusse a Gerusalemme l’ultima volta. Egli passò per tutti i luoghi e non schivò nessuna via; ed il Suo cammino fu sempre in accordo con il Suo carattere, la cui equanimità si manifestava ancor più in quelle occasioni, dove si richiedeva maggior forza morale.
Allorché si trattava della profanazione della casa del Padre Suo, si adempirono in Lui le parole del Salmista: «mi divora lo zelo per la tua casa»; ed allorché si tratta d’un vituperio che Gli viene fatto dai Samaritani Egli sopporta tutto e prosegue il Suo cammino.
Tutto era perfetto in Lui, sia nelle combinazioni delle Sue virtù, come nel opportuno momento delle loro manifestazioni. Egli pianse alla tomba di Lazzaro, quantunque vi portasse con Se la vita; Colui che poteva dire: «Io sono la risurrezione e la vita», versò delle lacrime come un semplice mortale. La divina potenza che c’era in Lui non impediva lo sviluppo e la manifestazione delle simpatie umane.

4. Elevato e abbassato

La fusione di queste eccelse virtù, mette appunto alla luce la Sua gloria morale. Secondo l’espressione apostolica, Gesù sapeva «vivere nella povertà [o essere abbassato] e anche nell’abbondanza»; sapeva, se è lecito così esprimersi, usare dei tempi di abbondanza come pure di quelli di scarsità, poiché passando per questa vita, Egli prese conoscenza di tutte e due le situazioni.
Così Egli fu introdotto per un momento nella Sua stupenda gloria sulla montagna della trasfigurazione. In quel luogo Egli apparve in quella maestà e dignità che Gli erano proprie; il Suo volto risplendeva come il sole, che è 1a sorgente della luce; e stavano ai Suoi fianchi, risplendenti con Lui nella Sua gloria, gli illustri personaggi di Mosè e d’Elia. Ma allorché discendeva dal monte, comandò a coloro che furono testimoni della Sua maestà di «non raccontare a nessuno le cose che avevano viste». Ai piedi del monte, quando la moltitudine sorpresa accorse per salutarlo (Marco 9:15), Egli, che senza dubbio portava ancora sul Suo volto qualche piccola traccia della gloria che aveva or ora lasciata, non si fermò punto per ricevere gli omaggi che Gli si volevano tributare, ma continuò immediatamente il Suo servizio. L’agiatezza non Lo rese superbo; Egli non cercava una posizione tra gli uomini, ma rinnegò Sé stesso, si annichilì, e velò la Sua gloria per non essere che un servo.
Vediamo la stessa cosa nel capitolo 20 di Giovanni, dopo la Sua risurrezione. Egli è là in mezzo ai Suoi discepoli, vestito d’una gloria che nessun uomo ha mai posseduto, né mai visto. Egli è là come il vincitore della morte, come il distruttore della tomba; e quantunque possedesse queste eccellenti glorie, pure non agogna gli omaggi del Suo popolo. Qualunque altro uomo che fosse stato circondato da pericoli, che avesse incontrato grandi difficoltà, e che alla fine avesse ottenuto vittoria, per certo sarebbe ritornato fra i suoi amici e nel seno della sua famiglia per riceverne gli onori; ma il Signore Gesù non è venuto per cercare gloria dagli uomini, anzi per aiutarli nei loro bisogni. Non mai il Signore Gesù fu indifferente alle miserie altrui; anzi cercava sempre il momento opportuno per esternare la Sua compassione, e quando non poteva farlo, si sentiva privato d’una cosa che Egli desiderava. Ma ora risuscitato dai morti, Egli appare ai Suoi piuttosto come uno che li visita, e non come un vincitore. Si trattiene con loro parlando maggiormente dei loro interessi che non delle grandi cose avvenute poco fa. Questo è il fare uso della vittoria come fece Abramo dopo la sconfitta dei re alleati, il che è assai più difficile che ottenere la vittoria stessa. Per fare questo, bisogna saper essere nell’abbondanza e sapere essere saziato.
Ma Gesù seppe pure «essere nella povertà», «essere abbassato» dagli abitanti di Samaria, come vediamo in Luca 9:51 e seguito. Fin dal principio della scena che ci viene qui narrata, Egli afferra il momento propizio per la Sua accettazione, e col sentimento della Sua gloria personale, invia dei messaggeri innanzi alla Sua faccia per annunziare la Sua venuta. L’incredulità dei Samaritani, però, cambia lo stato delle cose. Essi Gli rifiutano l’ospitalità, non vogliono che il Signore della gloria passi attraverso il loro paese, e Lo costringono di cercarsi altra via, quale Egli, il rigettato, poteva trovare. Egli accetta ancora questa posizione di rigettamento senza opporsi e senza che il Suo cuore ne mormori; vedendosi sprezzato come Betlehmita, diventa nuovamento Nazareo (Matteo 2); ed allontanandosi dal paese samaritano, porta questo nuovo carattere tanto bene come lo aveva portato nei primordi della Sua storia, mostrando con ciò che Egli sapeva «essere abbassato» ogni qualvolta la malvagità dell’uomo Gli contestava la Sua autorità.
Lo troviamo presso a poco nelle stesse circostanze in Matteo 21: Egli entra in Gerusalemme come figlio di Davide, circondato da tutto quanto Lo può mettere in rilievo in questa Sua gloriosa dignità. Come sul monte santo Egli aveva messo in mostra la Sua gloria celeste, così qui appare nella Sua gloria terrestre, in quella gloria che Gli appartiene legittimamente e che quando sarà giunta l’ora, porterà in modo degno di Lui. Ma l’incredulità di Gerusalemme, come poc’anzi ha fatto quella di Samaria, cambia totalmente la scena. Egli era entrato nella città come re, ed ora è costretto d’uscire e cercare altrove un ricovero per la notte; così possiamo dire che, sia fuori di Samaria, sia fuori di Gerusalemme, Egli seppe veramente «essere abbassato», trovandosi costretto, a cercare un rifugio per la Sua augusta persona.
Quale perfezione! — Allorché le tenebre non possono scorgere la gloria ufficiale di Gesù, la Sua gloria morale brilla d’una luce ancor più splendida. Come principio di morale e come carattere umano non c’è cosa migliore d’una volontaria umiltà dinanzi agli uomini, unita al sentimento della gloria reale davanti a Dio. Troviamo a questo riguardo degli esempi considerevoli nella vita d’alcuni santi. Abramo si considerò sempre come straniero fra gli abitanti di Canaan, non possedendo un piede di terreno e non desiderando di possederlo; ma, se si presentava l’occasione, nel sentimento della sua dignità davanti a Dio e secondo i Suoi decreti, egli sapeva mettersi sopra i re. Giacobbe parla del suo stato di forestiere, dei suoi giorni che furono corti e cattivi, abbassandosi così agli occhi del mondo; ma nello stesso tempo benedice un uomo che era il più autorevole del paese, sapendo che nel cospetto di Dio, egli era migliore di lui. Davide chiede senza onta del pane, ed accetta ad un tempo gli omaggi dovutigli come re, prendendo dalle mani d’Abigail il tributo dei suoi sudditi. Paolo è in catene nella prigione del governatore, e parla dei suoi legami; ma intanto confessa dinanzi a tutta la corte ed ai grandi del mondo romano, che egli si riconosce l’uomo più benedetto ed il solo felice fra di loro.
Questo assieme d’umiliazione e di dignità, di abbassamento e di elevatezza, trova nel Signor Gesù la forma più chiara, più risplendente e più nobile fra quante altre che ci siano nella Scrittura. E questa capacità di sapersi condurre nelle circostanze propizie, ci mostra che il cuore di chi è ammaestrato in queste cose, si occupa piuttosto dello scopo del suo viaggio che non del viaggio stesso. Se il nostro cuore si occupa del cammino che dobbiamo fare, i travagli e le difficoltà che vediamo, le rapide salite ed i declivi scoscesi ci saranno d’impedimento; ma se riguardiamo allo scopo, al termine finale, allora ci sarà facile sormontare tutte queste cose ed ottenere l’oggetto della nostra speranza. Non c’è, forse dell’insegnamento per noi?

5. Vicino e distante

Ma nel carattere del Signore vi è inoltre un assieme di qualità che noi dobbiamo notare. Qualcuno ha detto che «Egli fu il più grazioso ed il più accessibile degli uomini»; e dalle Sue maniere, quantunque si senta che Egli fu sempre unostraniero, noi scorgiamo però una tenerezza ed una gentilezza giammai vedute in un altro uomo. Sì, Egli fu «uno straniero quaggiù», uno straniero quando l’uomo ribelle non gli accordava il posto che gli apparteneva; ed si trovava subito molto vicino quando la miseria o la necessità Lo richiedevano. La distanza che manteneva se veniva respinto, e l’intimità che manifestava se veniva accolto, erano entrambi perfette. Egli non solo riguardava alla miseria che l’attorniava, ma penetrava in essa con una simpatia tutta propria; non solo respingeva la corruzione che Lo circondava, ma serbava la vera distanza della santità da ogni contatto o macchia di essa.
Guardiamolo nel capitolo 6 di Marco e Lo troveremo che sta dandoci un saggio di questo alternarsi di separazione e di intimità; Lo vedremo in una commovente scena, allorché i discepoli si raccolgono attorno a Lui dopo molti giorni d’indefesso lavoro: Egli s’interessa del loro stato, divide il peso delle loro fatiche, si rende conto dei loro bisogni e vi provvede immediatamente dicendo: «Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco...» Ma la moltitudine avendolo seguito, Egli si rivolge ad essa con la medesima premura, s’investe della sua misera condizione, e vedendo che è come una greggia senza pastore, incomincia ad insegnarle molte cose. Vediamo in tutto ciò ch’Egli è ben vicino ai molteplici e svariati bisogni che sorgono nell’atmosfera in cui si trova, sia che questi bisogni provengano dalla fatica dei Suoi discepoli, sia che derivano da una folla affamata ed ignorante. Ma i discepoli subito si risentono per le cure che il Signore volge alla multidudine, e Lo incitano a rinviarla; ciò che Egli assolutamente non fa. Da questo istante tra Lui ed essi si stabilisce moralmente una distanza, la quale viene poco dopo rivelata con il costringerli a salire sulla barca ed a passare all’altra riva verso Betsaida, mentre Egli congedia la folla tutto solo. Questa separazione è causa di nuovo difficoltà per i poveri discepoli: i venti e le onde sono contro a loro là sul lago; ed allora, mentre sono in distretta, Gesù si avvicina di nuovo ed è pronto a soccorrerli ed a rassicurarli.
Quale armonia in tutto questo assieme di santità e di grazia! Egli ci è vicino quando siamo stanchi, od affamati, od in pericolo; e se ne sta lontano dai nostri desideri naturali e dal nostro egoismo. La Sua santità fece di Lui uno straniero in un mondo impuro; e la Sua grazia Lo mantenne sempre attivo in un mondo necessitoso ed afflitto. E questo mette in rilievo, si può dire, la grande gloria morale della Sua vita; Egli che, quantunque costretto da ciò che l’intorniava a starsene come il Solitario, pure si sentiva spinto, dai bisogni e dai dolori che vedeva, ad essere Colui che operava verso ogni ceto di persone e nei più svariati modi. Avversari, moltitudini, una compagnia di discepoli cho Lo seguivano, semplici individui, tutti Lo videro in una continua e variatissima operosità; ed Egli dovette sapere, ciò che certamente fece in modo perfetto, come si conveniva rispondere ai singoli interlocutori.

6. A tavola

Inoltre Lo vediamo qualche volta alla tavola degli altri, ma ciò avviene soltanto per darci motivo di rimarcare qualche nuovo tratto di perfezione. Alla tavola dei Farisei ove Lo si vede qualche volta, Egli non ci va per adottare o sanzionare la loro vita domestica, ma essendo invitato nella qualità ch’Egli s’era già acquistata e sostenuta pubblicamente, è là che agisce rivestito di tale qualità. Egli non è soltanto un ospite, che gode della cortesia ed ospitalità del padrone di casa, ma si è recato là nel Suo proprio carattere, e quindi può rimproverare od insegnare. Egli è sempre la Luce, e vuol agire come la Luce; perciò manifesta le tenebre tanto al di dentro, come aveva fatto al di fuori (vedi Luca 7:11).
Ma se Egli entra spesso nella casa del Fariseo come dottore, e come tale riprova lo stato morale delle cose che vi si trovano, Egli entra pure nella casa del pubblicano come Salvatore. Levi fa un convito in Suo onore, ed invita alla stessa tavola dei pubblicani e dei peccatori. Naturalmente ciò fu subito notato dagli avversari, i quali trovarono a ridire su quella compagnia poco stimabile; ed allora il Signore si rivela come Salvatore, dicendo loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: "Voglio misericordia e non sacrificio"; poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori» (Matteo 9:12-13). Parole semplici, ma stringenti e piene di forza. Simone il Fariseo rimproverò una peccatrice che volle entrare in casa sua per accostarsi al Signore Gesù; mentre Levi, il pubblicano, fece delle persone come essa altrettanti dei Suoi commensali; ecco perché il Signore in un luogo rimprovera, ed in un altro si mostra in grazia come Salvatore.
Ma vediamo che il Signore Gesù s’è pure seduto ad altre tavole; osserviamolo a Gerico e ad Emmaus (Luca 21 e 24). In entrambi i casi furono dei veri bisogni di cuore che Lo ricevettero; dei bisogni sentiti differentemente, a seconda delle circostanze in cui furono creati. Zaccheo non era mai stato altro che un peccatore, un uomo naturale, il quale, come sappiamo, è corrotto nelle sue aspirazioni e nel suo fare; ma in quell’istante egli si trovava appunto sotto l’influenza del Padre, e l’anima sua fece di Cristo l’unico oggetto dei suoi pensieri. Egli bramava vederlo, ed il suo desiderio essendo potente, egli si apre una via attraverso la folla, s’arrampica ad un sicomoro... purché giunga in tempo per vederlo quando passerà lì vicino! Il Signore giunge, alza gli occhi, lo vede, e subito s’invita a casa sua. Questo è proprio singolare: Gesù non è invitato, ma Egli stesso si fa ospite del pubblicano di Gerico!
I primi sintomi di vita in un povero peccatore, il desiderio che era stato risvegliato dai disegni del Padre, erano già pronti in quella casa per dargli il benvenuto; ma Egli con dolcezza e con modi molto espressivi previene la buona accoglienza che avrebbe avuto, e vi entra come Uno che risponde pienamente ai bisogni di questa vita recentemente accesa, onde infiammarla e rinforzarla, finché abbia esternato qualcuna delle sue preziose virtù, e portato qualcuno dei suoi buoni frutti. — «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo» (Luca 19:8).
Ad Emmaus il desiderio s’era ben anche fatto sentire, ma in condizioni diverse; non si trattava dei bisogni d’un’anima convertita poco fa, ma di santi ristorati. I due discepoli erano stati increduli, e se ne ritornavano a casa loro sotto la triste impressione che Gesù aveva mancato alle loro giuste aspettazioni. Il Signore appena li raggiunge sulla via, li rimprovera della loro incredulità, ma ordina le Sue parole in modo da infiammare i loro cuori; e quando sono giunti alla loro abitazione, Egli, invece d’invitarsi come ha fatto a Gerico, f’a mostra di continuare il Suo cammino. Essi non erano in uno stato morale che spingesse il Signore di far ciò, come ne era stato il caso con Zaccheo; ma appena viene invitato, accetta, ed entra da i Suoi ospiti per ravvivare ancor più, ed appagare pienamente quel desiderio che fu la causa del Suo invito. Quindi i due discepoli, coi cuori pieni di gioia, si sentono spinti di ritornare nella città in quella stessa notte, quantunque tardi, per dare la lieta notizia ai loro compagni.
Quale varietà di bellezze in tutte queste scene! L’ospite del Fariseo, l’ospite del pubblicano, l’ospite dei discepoli, che sia invitato o non, in Gesù occupa sempre il posto di ogni perfezione e di ogni bellezza. Potrei parlare ancor molto di Lui quale commensale alle tavole altrui, ma mi limiterò ad osservarlo ancora in un luogo... a Betania, dove Lo vediamo nel seno d’un’amata famiglia. Se Gesù avesse disapprovato l’idea d’una famiglia cristiana, non sarebbe stato a Betania; ed inoltre, quando Lo vediamo là, Lo scorgiamo sempre in qualche nuova fase di morale bellezza, Egli è un amico di casa, e trova fra loro ciò che noi troviamo ancora ai nostri giorni, un luogo dove può essere interamente libero di aprire il Suo cuore e manifestare le Sue più delicato affezioni. Vediamo che ciò è confermato da Giovanni 11:5: «Or Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro». L’amore che Egli nutriva per loro non era quello d’un Salvatore o d’un pastore, quantunque fosse l’uno e l’altro per essi; ma era l’amore intenso e sincero d’un amico di famiglia. Però quantunque fosse amico, un amico intimo, che avesse sempre la porta largamente aperta per entrarvi, Egli non s’immischiò mai negli affari domestici. Marta aveva la direzione della casa, la persona la più occupata della famiglia, ufficio utile ed importante al suo posto; e certamente Gesù la lascia dove l’ha trovata; non è per Lui di cambiare o regolare tali cose, Lazaro può ben tener compagnia a tavola agli ospiti della famiglia; Maria può essere assorta nel suo proprio regno, o nel regno di Dio in essa; Marta può ben affaccendarsi nel servizio: sia pur così; Gesù lascia tutto come ha trovato. Egli che non sarebbe entrato in casa altrui senza essere invitato, quando entrò da quei Suoi amici di Betania, non volle immischiarsi nei loro affari; ma se un membro della famiglia invece di stare al suo posto, vuol insegnare in Sua presenza, Egli deve e vuol riprendere il Suo più alto carattere, regolando le cose divinamente, quantunque non avesse mai voluto entrarci sul piano del ordine domestico (Luca 10).

7. Sopra i più onorati

Che svariata e squisita bellezza! Chi può annoverarne tutti i particolari? La moltitudine delle cose a raccontare sorpassa la capacità della mente per ritenerle. E se nessuna mente umana può appieno capire l’assieme di questo oggetto, dov’è quell’umano carattere che non abbia aiutato colle sue ombre ed imperfezioni a metterne maggiormente in rilievo lo splendore? Nessun di noi penserebbe che Giovanni, o Pietro, o qualcuno degli altri apostoli fosse duro di cuore o grossolano; sentiamo, invece, che volontieri avremmo loro confidato le nostre pene e le nostre circostanze. Ebbene, quel fatto menzionato poco fa nel capitolo 6 di Marco, ci fa vedere che tutti caddero in errore, e si allontanarono dai veri bisogni quando la moltitudine affamata si rivolgeva a loro, interrompendo il loro riposo; ma, al contrario, quello fu il vero momento, l’occasione propizia per Gesù di avvicinarsi ad essa. Tutto ciò ci mostra quel che realmente Egli è, cari fratelli!
Parlando del Signore Gesù, qualcuno disse : «Io non conosco uomo così gentile, così condiscendente, che si sia abbassato fino ai poveri peccatori come Lui. Io ho più fiducia nel Suo amore che non in quello di Maria o di qualche santo; non mi fido soltanto nella Sua potenza come Dio, ma anche nella tenerezza del Suo cuore come uomo. Non si vide mai nessuno come Lui, che facesse come Egli ha fatto, e che riuscisse così bene come Egli ha riuscito; — nessumo m’inspirò giammai tanta confidenza come Lui. Che gli altri vadano pure ai santi od agli angeli, se vogliono; per me mi confido interamente nella bontà di Gesù».
Certamente, lo ripeto, questo è vero; e la breve narrazione di Marco 6, la quale ci rivela da un lato la strettezza di cuore dei migliori fra noi, come Pietro e Giovanni, e manifest dall’altro la piena ed imperitura grazia di Gesù, ce lo conferma.

8. Nel mondo, ma non del mondo

Ma oltre a ciò, la relazione che Egli ha avuto col mondo, mentre era quaggiù, ci mostra che c’era in Lui accumulati un assieme di vari caratteri, come pure di virtù e di grazie. Egli fu ad un tempo un vincitore, un sofferente ed un benefattore; — quali glorie morali brillano in tale combinazione! Egli vinse il mondo rifiutando tutte le sue attrattive ed offerte; soffrì per esso, testimoniando di Dio contro il suo andamento ed il suo spirito; lo benedì con continue dispensazioni di amore e di potenza; restituì sempre bene per male. Le sue tentazioni fecero di Lui un vincitore; la corruzione ne fece un sofferente; e le miserie ne fecero un benefattore. Che magnifica riunione di virtù in un solo uomo!— Qual gloria morale risplende in esse!
Il Signore illustrò quel motto che si ripete tra noi «nel mondo, ma non del mondo», — una espressione che forse deriva da ciò che Egli stesso disse in Giovanni 17:15: «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno». Egli fu la manifestazione vivente d’un tale stato, durante tutta la Sua vita; poiché fu sempre nel mondo, operando fra l’ignoranza e la miseria che Lo circondava; ma giammai appartenne ad esso, come qualcuno che partecipi i suoi progetti e le sue speranze, o che respiri la sua atmosfera.
Nel capitolo 7 di Giovanni, però, Egli si mostra più specialmente rivestito di questo carattere. La festa dei tabernacoli era vicina, l’epoca che coronava la gioia d’Israele, il saggio del regno avvenire, la stagione della ricolta, quando il popolo non aveva se non a ricordare che in altro tempo era stato errante nel deserto e dimorante in un campo. I Suoi fratelli gli propongono di cogliere questo momento propizio, quando «tutto il mondo», come si dice, era a Gerusalemme, affinché manifestasse pubblicamente chi Egli era. Essi avrebbero voluto che fosse diventato un personaggio d’importanza, che si fosse fatto «un uomo del mondo». «Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo», ma Egli rifiutò, perché il Suo tempo non era ancor venuto per celebrare la festa dei tabernacoli. Egli avrà il Suo regno nel mondo, che si estenderà su tutta la terra, appena sarà venuto il Suo giorno; ma fino allora era sulla via dell’altare e non su quella del trono. Egli non vuole andare alla festa per prendervi parte, quantunque voglia essere in essa; quindi, appena giunto nella città, Lo vediamo intento a servire e non a procacciarsi onori; non operando miracoli, come avrebbero voluto i Suoi fratelli, per guadagnarsi la fama degli uomini; ma insegnando gli altri, e nascondendo Sé stesso col dire: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato».

9. Tenerezza e fedeltà

Tutto ciò è veramente particolare e caratteristico; e fa parte della gloria morale di Gesù, dell’uomo perfetto nelle Sue relazioni col mondo. Egli fu nel mondo come un vincitore, un uomo di dolori ed un benefattore; wa non fu del mondo. Noi lo vediamo con uguale perfezione tanto a distinguere le cose, come esporre queste magnifiche combinazioni; così, occupandosi delle afflizioni delle persone che sono di fuori, per così dire, vediamo la tenerezza, la potenza che solleva; e stando occupato delle difficoltà dei discepoli, vi troviamo alla tenerezza unita la giustizia. Il lebbroso in Matteo 8, è uno straniero che va a Gesù, gettando sopra di Lui tutte le sue afflizioni, e riceve subita guarigione; ma i discepoli che vanno pure a Lui nella difficoltà della tempesta, assieme al conforto ricevono il rimprovero: «Perché avete paura, o gente di poca fede?» Il lebbroso però non aveva maggior fede dei discepoli; se questi dissero: «Signore, salvaci, siamo perduti!», quello gridò: «Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi»; eppure gli uni furono rimprovrrati, e l’altro no. Secondo la mente del Signore, questi due casi erano differenti l’uno dall’altro, ed il Suo modo d’agire fu con giustizia. In un caso si trattava semplicemente di afflizione, mentre nell’altro si trattava e di afflizione e dell’anima; perciò la pura tenerezza fu la risposta nell’uno, mentre nell’altro abbisognò aggiungervi la giustizia. La diversità di relazione che avevano con Lui i discepoli e gli estranei, ci spiega questo Suo modo di fare, e ci mostra che Egli sapeva distinguere perfettamente le cose, le quali, quantunque si rassomigliassero di molto, non erano le stesse.
Ma ecco la perfezione: se Egli riprende, non permetterà mai che altri lo faccia neanche leggieremente. E come Mosè fu umiliato dal Signore, senza che questi permettesse a Maria e ad Aronne di rimproverarlo (Numeri 11, 12); come Israele nel deserto fu punito ripetutamente dalla mano dell’Eterno, e giustificato da questi stesso allorché Balaam voleva accusarlo; così il Signore Gesù volle intervenire in modo solenne tra i due discepoli che s’erano attirato il biasimo, ed i dieci che li biasimavano (Matteo 20); e quantunque inviasse un avviso con una segreta ammonizione a Giovanni Battista (inviandogli un messaggio che solo la sua coscienza poteva comprendere), si volse alla moltitudine, e parlò di Lui con lode e con diletto (Matteo 11).
Abbiamo inoltre altri esempi di questa grazia che sa distinguere le cose che differiscono fra di loro. Trattando con i Suoi discepoli, giunse pure un momento in cui la giustizia si tacque, e la tenerezza soltanto fu esercitata; questo fu il momento della separazione, descritta con linguaggio commovente in Giovanni 14, 15 e 16. Allora era troppo tardi per essere severo; le circostanze del momento non l’avrebbero permesso, ed il cuore voleva che questo poco tempo appartenesse interamente ad esso. L’educazione dell’anima non sarebbe stata propizia; Egli rivela loro dei nuovi segreti, è vero, dei segreti che hanno attinenza alla più cara e più intima relazione col Padre; ma c’è nulla che si approssimi ad un un rimprovero. Non si odono simili espressioni: «O gente di poca fede», oppure: «Non capite ancora?» C’è bensì una parola che suona ad un dispresso in questo senso (Giovanni 14:9); ma è soltanto per mostrare la ferita d’un cuore che aveva sofferto, e manifestare l’amore che Egli aveva per loro.
Questo fu la santità del dolore nel momento della separazione, secondo la mente perfetta e l’affezione di Gesù; ciò che facciamo anche noi in piccola misura, ma abbastanza per poter gioire ed ammirare la piena espressione in Lui. Troviamo nell’Ecclesiaste che «c’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci». — Questo è una legge dell’amore che Gesù osservò.
Però Gesù non si lasciò mai trascinare dalla dolcezza quando il caso richiedeva fermezza e fedeltà, quantunque passasse per molte circostanze atte a scuotere la sensibilità del cuore umano, ed in cui il senso morale dell’uomo avrebbe giudicato bene l’esserne scosso. Egli non volle mai guadagnare i Suoi discepoli coi poveri mezzi di una natura amabile. Il miele era escluso dall’offerta fatta per fuoco, come lo era il lievito; l’offerta di panatica non ne aveva (Levitico 2:11); e nemmeno Gesù, che fu la vera offerta di panatica, non ne ebbe mai. Non fu mai quel fare semplicemente civile e cortese che i discepoli videro nel loro Maestro; e non furono mai quelle belle maniere che s’inspirano unicamente ai desideri altrui. Egli non cedette mai ai loro capricci od ai loro naturali pensieri, eppure li tenne sempre strettamente legati a Sé; questo è la vera potenza.
È sempre prova di potenza morale ogni volta che si guadagna la confidenza altrui senza cercarla, poiché allora il cuore è divenuto conscio della realtà dell’amore. «Noi tutti sappiamo», dice qualcuno, «quanta differenza vi sia tra l’amore e la cortesia, e che questa può abbondare dove quello non è mai esistito. Qualcuno può dire che la cortesia attira la nostra confidenza, ma noi stessi sappiamo che soltanto l’amore è capace di far ciò». Questo è verissimo. Quelle belle maniere esteriori, per sé stesse non sono altro che miele; e quanto ce n’è ancora fra noi! Trascinati dalla corrente, noi siamo disposti a credere che tutto questo vada bene; e forse non miriamo ad altro scopo più elevato che di purgarci dal lievito e riempirci di miele. Siamo pure amabili, compiamo pur bene la nostra parte sulla scena della ben ordinata e civile società, compiacendo gli altri, e facendo il nostro possibile perché stiano in buoni rapporto con noi; allora noi saremo soddisfatti di noi stessi, e gli altri lo saranno di noi; ma è questo il servire Dio? È questa un’offerta di panatica? Veramente non si può dire che lo sia. Ammetto che noi possiamo naturalmente giudicare esservi nulla di migliore o di più efficace; ma ciò nondimeno è un secreto del santuario che il miele non era usato per rendere gradevole l’offerta.

10. Niente che doveva essere rimproverato

Noi dunque abbiamo visto che la gloria morale e la bellezza di tutte le vie del Figlio dell’uomo sono perfette nei loro sviluppi, nelle loro opportunità, nelle loro combinazioni e nelle loro distinzioni. La vita di Gesù fu come il brillante chiarore d’una candela. Egli fu come una lampada nella casa di Dio, che non aveva bisogno né di smoccolatoi, né di piattini d’oro puro come era prescritto dalla legge (Esodo 25:38); e che stava del continuo accesa davanti al Signore, bruciando olio puro e vergine (Esodo 27:20). Egli manifestò tutto quello che Lo attorniava, mettendolo in rilievo, e se occorre, riprovandolo; ma tenne sempre il Suo posto senza biasimo.
Sia che venisse provocato dai discepoli, sia che fosse accusato dagli avversari, come spesso gli accadde, non cercò mai di scusare Sé stesso. «Maestro, non t’importa che noi moriamo?» (Marco 4:38); ma Egli non pensa di ricuperare quel sonno da cui simile domanda l’ha scosso. Altra volta invece di rispondere alla Sua domanda, gli obiettano: «Maestro, la folla ti stringe e ti preme, [e tu dici: Chi mi ha toccato?]» (Luca 8:45); ma senza bisogno di far ulteriori ricerche, Egli agisce in modo che l’oggetto di esse si manifesta pubblicamente. In altra circostanza ancora, Marta gli dice: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Giovanni 11:21); Egli però non si scusa di non essere stato là, né d’aver protratto di due giorni la Sua venuta, ma insegna a Marta qual carattere meraviglioso aveva dato a quel momento il Suo ritardo. Che bella maniera fu questa di giustificare il Suo ritardo!
E così fu in ogni simile circostanza; sia che fosse accusato, sia che fosse biasimato, Egli non ritrattò mai una parola e non indietreggiò mai di un sol passo. Ogni lingua che osava pronunziar giudizio contro di Lui, veniva da Esso condannata. Sua madre Lo rimprovera in Luca 2; ma invece di sostenere la sua accusa, è costretta di convincersi che i suoi pensieri sono tenebre ed errore. Pietro, nella foga del suo zelo, osa ammonirlo dicendogli: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti avverrà mai» (Matteo 16:22); ma subito devo apprendere che quell’ammonizione viene da Satana. Uno dei sergenti del Sommo Sacerdote va ancor più lungi, ed insieme al rimprovero, gli dà uno schiaffo; ma viene immediatamente convinto d’aver trasgredito le leggi in presenza e sul luogo stesso dove si amministrava la giustizia (Giovanni 18).
Tutto, tutto ci parla del cammino che fece il perfetto Maestro. Accadde alle volte che le apparenze gli erano contro: perché, per esempio, dormiva sulla barca, mentre il vento e le onde infuriavano ? — Perché si fermava nella la via, mentre la figlia di Iairo era morente? (Luca 8); e perché dimorò ancora due giorni dov’era, mentre il Suo amico Lazaro era ammalato nel lontano villaggio di Betania? Ma tutto questo non fu che apparenza, e durò solo per un momento. Abbiamo parlato di queste maniere di Gesù, del Suo dormire, del Suo fermarsi, del Suo ritardo, ma abbiamo anche visto che il Suo fine fu sempre perfetto. Le apparenze erano pure contro il Dio di Giobbe nei giorni dei patriarchi; messaggio dopo messaggio faceva la sua apparizione inesorabile e senza pietà; ma Egli non ebbe a scusarsi, più di quanto lo avesse il Gesù dei Vangeli, il quale non si scusò giammai.
Quindi, se consideriamo Gesù come la lampada del santuario, come la luce nella casa di Dio, vediamo subito che gli smoccolatoi ed i piattini sono inutili, e che non possono avere in Lui la realtà di ciò che rappresentano. Perciò coloro che imprendevano ad accusarlo o biasimarlo mentre era quaggiù, dovevano ritornarsene biasimati e confusi. Essi volevano adoperare gli smoccolatoi ed i piatteni per una lampada che non ne aveva bisogno, e non facevano che mostrare la loro follia; mentre la luce di questa lampada brillava ancor più, non perché si fossero adoprati gli smoccolatoi, ma per dimostrare (come fece in ogni circostanza) che essa non ne aveva bisogno.
Da tutti questi fatti noi impariamo che il meglio che noi possiamo fare, si è di starcene vicini a Gesù senza mettere degli inciampi sul Suo cammino. Noi possiamo riguardare ed adorare, ma non mai immischiarci od interrompere l’opera Sua, come usavano fare nei loro tempi i Suoi nemici, i parenti, e persino i Suoi discepoli. Essi non potevano perfezionare quella luce che brillava in mezzo a loro; ma ne avrebbero dovuto essere rallegrati, e camminare in essa senza tentare di ordinarla. Guardiamo che il nostro occhio sia netto, e siamo certi che la lampada del Signore illuminerà tutto il nostro corpo.

11. Non sollecita la pietà

Ma proseguiamo. Come Gesù non cercò mai di giustificarsi dal giudizio dell’uomo durante tutto il tempo del Suo ministero (come abbiamo or ora veduto), così nell’ora delle Sue sofferenze, quando le potenze delle tenebre gli erano contro, Egli non cercò un sollievo e non sperò nessun appoggio dall’umana pietà. Quando divenne il prigioniero dei Giudei e dei Gentili, non uscì dalla Sua bocca né supplica, né domanda; nessuno udì da Lui una parola che facesse appello alla compassione o che volesse difendere la Sua vita. Egli aveva bensì pregato il Padre in Getsemane; ma non cercò minomamente di commuovere i sacerdoti giudei od il governatore romano. Tutto quello che disse in quel momento fu solo per mostrare il peccato che l’uomo, sia Giudeo o Gentile, stava compiendo.
Quale pittura vien tracciata agli occhi nostri! — Chi ne avrebbe potuto immaginare il soggetto? — Esso, come ben fece osservare un altro, avrebbe dovuto essere esposto prima di poterlo descrivere. Esso fu l’uomo perfetto, che camminò quaggiù nella pienezza della gloria morale, i cui riflessi furono lasciati dallo Spirito Santo sulle pagine dei Vangeli. Ed assieme alla semplice e beata certezza del Suo personale amore verso di noi (che il Signore l’accresca nei nostri cuori!), c’è nulla che ci faccia tanto desiderare d’essere con Lui come la scoperta di ciò ch’Egli è. Ho sentito io d’una persona, che osservando il Suo brillante e benedetto cammino nei quattro Vangeli, fu commossa fino alle lacrime, ed esclamò: «Oh se io fossi con Lui!»
Se mi fosse lecito di parlare per gli altri, cari fratelli, direi che questo è ciò che ci manca, ma che è pure ciò che aneliamo di possedere. Noi conosciamo il nostro bisogno, ma possiamo aggiungere che il Signore conosce il nostro desiderio.

12. Un tempo per conservare e un tempo per buttare via

[Questa parte è stata pubblicata nel Messaggero Cristiano, in giugno 1980.]
Il libro dell’Ecclesiaste dice: «Per tutto c’è il suo tempo;... c’è un tempo per conservare e un tempo per buttar via» (Ecclesiaste 3:6). Il Signore Gesù sapeva perfettamente quando occoreva conservare e anche buttare via.
Tutto quello che viene impiegato per servire Dio con cuore sincero, non è sprecato. Davide diceva all’Eterno: «Tutto viene da te; e noi ti abbiamo dato quello che dalla tua mano abbiamo ricevuto» (1 Cronache 29:14).
Le bestie che popolano le migliaia di monti sono sue; è suo tutto quello che c’è sulla terra. Ma Faraone considerò un atto di «pigrizia» la domanda che faceva il popolo d’Israele di partire per andare a offrire sacrifici all’Eterno: «Siete dei pigri! Siete dei pigri! Per questo dite: Andiamo a offrire sacrifici all’Eterno» (Esodo 5:17). Anche i discepoli stimarono una «perdita» i trecento denari spesi da Maria per ungere Gesù (Matteo 26:8). Eppure, dare al Signore ciò che gli appartiene, l’onore e l’affetto del cuore, l’opera delle nostre mani e i beni della nostra casa, non è né uno sciupio né un atto di pigrizia: dare a Dio è il primo dei doveri. Mi spiegherò meglio.
Rinunciare all’«Egitto» non è trascuratezza, e rompere un vaso di profumo sul capo di Gesù non è uno spreco, sebbene tra la gente del mondo, e a volte anche tra i credenti, sia considerato così. Molti sono i credenti pii che rinunciano deliberatamente a certi vantaggi terreni o trascurano certe prospettive mondane perché hanno veramente compreso cosa significhi essere associati a un Cristo rigettato; ma agli occhi di molti tutto questo è indolenza o dissipazione. Si sarebbero potuti conservare i vantaggi, essi pensano, o perseguire e raggiungere le prospettive terrene per poi servirsene per il Signore. Chi pensa così è in grave errore, e vorrebbe che uno ci tenesse alla posizione e all’influenza umana, considerando poi queste cose come un dono da poter mettere a profitto degli altri, della loro edificazione o del loro progresso. Ma se Cristo fosse veramente conosciuto come un Signore rigettato, ben diversi sarebbero i ragionamenti. Questa posizione nella vita, questi vantaggi terreni, queste tanto ricercate occasioni di progresso materiale non sono altro che quell’Egitto che Mosè abbandonò quando rifiutò di essere chiamato figlio della figlia di Faraone. I tesori d’Egitto per lui non erano ricchezze, perché non poteva impiegarli per il Signore. Preferì allontanarsene e il Signore lo incontrò e si servì di lui non per utilizzare i tesori d’Egitto e mettere in risalto la sua posizione alla corte, ma per liberare il suo popolo dalla dura schiavitù.
Devo aggiungere ancora qualche pensiero su questo soggetto, perché io credo che sia importante per noi.
Questa rinuncia, di cui Mosè ci offre un esempio, deve però essere accompagnata dall’intelligenza della fede se non la si vuol privare della sua realtà e della sua bellezza. Se si agisce solo per un principio «religioso», per guadagnarsi qualche merito o qualche giustizia, a nulla serve; anzi, è peggio di uno spreco o di un atto di pigrizia. Satana, in questo caso, ha riportato lui una vittoria su di noi, anziché noi sul mondo. Ma se la rinuncia è stata compiuta nella fede e nell’amore per un Cristo rigettato, nella piena consapevolezza della relazione che un tale Signore ha col «presente secolo malvagio», allora è un’offerta a Dio.
Fare del bene agli uomini a spese della Verità e dei principi divini non è cristianesimo, quantunque coloro che agiscono in tal modo siano chiamati «benefattori»; il vero cristiano si preoccupa tanto della gloria di Dio quanto della felicità degli uomini. Se perdiamo questo di vista, saremo tentati di considerare come una perdita di tempo e di denaro molte cose che sono invece la reale espressione di un servizio santo, devoto, intelligente e coerente con la Parola.
Il Signore ci insegna questa lezione quando giustificò la donna che sparse sul suo capo l’olio odorifero di gran prezzo. Noi dobbiamo, in quel che facciamo, considerare prima di tutto la gloria di Dio, anche se gli uomini si rifiutano di sanzionare ciò che ritengono non contribuisca al miglioramento del mondo e al benessere terreno. Gesù ha rivendicato i diritti di Dio su questo mondo egoista pur riconoscendo, come sappiamo, i diritti del prossimo al di sopra dei propri. Egli sapeva quando si doveva «conservare» e quando «buttare via»; e così, se dice ai discepoli: «Perché date noia a questa donna? Ha fatto una buona azione verso di me», dice anche, dopo aver sfamato la folla: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda» (Giovanni 6:12). Se il servizio prodigo del cuore o delle mani nel culto di Dio non è uno spreco, le briciole stesse del nutrimento di chi ha fame sono sacre e non devono essere gettate via. Colui che giustificò la spesa di trecento denari, non permise che i resti dei cinque pani moltiplicati restassero in terra; essi costituivano il nutrimento della vita del corpo, così come l’erba dei campi che Dio aveva dato all’uomo per la sua sussistenza. E la vita è una cosa sacra; Dio è il Dio dei viventi. Parlando di tutte le erbe e di tutti gli alberi fruttiferi che fanno seme, Dio aveva detto all’uomo: «Questo vi servirà di nutrimento». (Genesi 1:29). Perciò Gesù voleva santificare ciò che Dio aveva dato. A coloro che erano sotto la legge era prescritto ciò: «Quando farai guerra a una città per conquistarla e la cingerai d’assedio per lungo tempo, non ne distruggerai gli alberi a colpi di scure; ne mangerai il frutto, ma non li abbatterai... Potrai però distruggere e abbattere gli alberi che saprai non essere alberi da frutto» (Deuteronomio 20:19-20). Sarebbe stato uno sciupio, una profanazione, abusare di ciò che Dio aveva dato per mantenere la vita, e Gesù, nella sua ubbidienza al pensiero divino, non vuole che nemmeno una briciola vada perduta. «Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda».
Non sono che dettagli; ma tutte le circostanze della vita umana, per quanto passeggere siano, per quanto piccole, quando Gesù le attraversa sono rischiarate da un raggio di quella gloria morale che ha illuminato sempre, con una fulgida luce, il sentiero sul quale il Signore posava i suoi piedi. L’occhio umano era incapace di discernerla, ma dinanzi a Dio tutto saliva come il profumo di un incenso, come un «sacrificio di odore soave», come l’offerta dell’oblazione del santuario.

13. Non giudica secondo l’apparenze, ma secondo il valore morale

Inoltre, il Signore non giudicò mai le persone basandosi unicamente sui rapporti esteriori che avevano con Lui, ciò che è uno sbaglio comune a tutti noi. Naturalmente noi giudichiamo gli altri dal modo con cui agiscono verso di noi, e ne prendiamo interesse secondo il loro carattere ed il loro merito; ma il Signore non faceva così. Dio è un Dio di sapienza, e pesa esattamente tutte le azioni, avendo una piena conoscenza di ciascuna di esse. Egli ne vede i fini più reconditi, e le giudica in conseguenza. Durante il ministerio del Signore Gesù sopra la terra, noi vediamo ch’Egli, essendo l’immagine del Dio della sapienza, agiva in tal guisa; e ne abbiamo una prova nel capitolo 11 di Luca. Ciò che in apparenza indusse il Fariseo ad invitarlo cortesemente a pranzo fu la simpatia verso Lui; ma il Signore era «il Dio della sapienza», e come tale Egli apprezzò quest’azione nella pienezza del suo carattere morale.
Il miele della gentilezza, che è il migliore ingrediente della vita sociale in questo mondo, non giunse mai a pervertire il Suo gusto o a modificare il suo imparziale giudizio. Egli approvò sempre tutto ciò che vide di buono o di eccellente; ma le convenienze sociali che Lo invitarono alla tavola altrui, non determinarono mai il giudizio di Colui che teneva le bilancia del Santuario di Dio. In questa circostanza le maniere civili del Fariseo dovettero subire un confronto con il Dio della sapienza, e non poterono resistere. Quale rimprovero v’è anche per noi in tutto ciò!
L’invito nascondeva uno scopo premeditato; e vediamo infatti che appena il Signore ebbe varcato la soglia della casa, l’ospite non agisce come tale, ma da Fariseo, manifestando gran meraviglia perché il suo invitato non si era lavato prima di sedere a tavola. Il carattere ch’egli assume in principio, si mostra poi al fine in tutta la sua forza; ed il Signore si comporta in conseguenza, poiché lo giudica secondo il suo vero valore. Qualcuno potrebbe dire che la cortesia ricevuta avrebbe dovuto imporgli silenzio; ma Egli non considerò quest’uomo unicamente dal punto di vista della relazione che aveva con Lui; ne manifesta i segreti pensieri; li disapprova apertamente; e vediamo alla fine della scena che il suo retto giudizio Lo giustifica pienamente. «E quando fu uscito di là gli scribi e i farisei cominciarono a contrastarlo duramente e a farlo parlare su molte cose; tendendogli insidie, per cogliere qualche parola che gli uscisse di bocca» (Luca 11:53-54).
Però verso un altro Fariseo, dal quale fu pure invitato a pranzo, il Signore agisce in modo affatto differente (vedi Luca 7), poiché Simone non nascondeva nessuno scopo premeditato nel suo invito. Pare bensì che agisca anche lui da Fariseo, accusando in sé stesso la povera peccatrice della città, ed il suo invitato per aver permesso il suo contatto; ma le apparenze non bastano per formare un retto giudizio; e noi sappiamo che spesso le medesime parole pronunziate da differenti labbra hanno un ben diverso significato. Quindi il Signore, che basava ogni cosa colla divina bilancia, quantunque rimproveri Simone e lo metta a nudo davanti ai suoi propri occhi, lo chiama per nome, e lascia la sua casa come un convitato avrebbe dovuto lasciarla. Egli distingue il Fariseo del capitolo 7 di Luca dal Fariseo del capitolo 11, quantunque abbia seduto alla tavola di entrambi.
Parimenti opera il Signore nei riguardi di Pietro nel capitolo 16 di Matteo. Quando esso dice: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti avverrà mai», manifesta bensì un appassionato e premuroso attaccamento per il suo Maestro; ma Gesù giudica le sue parole secondo il loro giusto valore morale. Bisogna ammettere che per noi è duro assai e difficile il far ciò quando siamo personalmente encomiati, ma non così per il Signore. La risposta che diede a Pietro: «Vattene via da me, Satana!» non fu suggerita da una natura semplicemente amabile, ma dal fatto che Egli non riguardò le parole del Suo discepolo come esprimenti soltanto della bontà e della benevolenza verso di Lui. Egli le giudicò alla presenza di Dio, e vide subito che erano una suggestione del nemico; perché colui che può trasformarsi in angelo di luce, spesso si nasconde dietro a parole piene di cortesia e di affetto.
Nello stesso modo il Signore tratta Tomaso nel capitolo 20 di Giovanni. Questi Lo adorò dicendo: «Signor mio e Dio mio!» ma nemmeno queste parole valsero per far scendere Gesù da quell’altezza morale alla quale si trovava e da cui udiva e vedeva ogni cosa. Senza dubbio erano parole sincere, parole prodotte da una mente che, illuminata da Dio, s’era convertita al risorto Salvatore, e che invece di continuar nel dubbio, adorava; ma Tomaso era stato lontano il più che potè, essendo andato fino all’eccesso (Giovanni 10:25). È vero che tutti i discepoli erano stati increduli quanto alla risurrezione, ma egli aveva dichiarato che avrebbe persistito nell’incredulità finché non avesse avuto prove materiali che dimostrassero il contrario. Questo era il suo vero stato morale; e Gesù lo mette a posto, come aveva fatto con Pietro, dicendogli: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»
Se noi ci fossimo trovati nel caso del Signore Gesù, i nostri cuori si sarebbero lasciati cogliere per sorpresa, e non avrebbero potuto resistere né alla benevolenza del focoso Pietro, né all’adorazione dell’incredulo Tomaso; ma il nostro perfetto Maestro fu per Dio e per la Sua verità; e non badò a Sé stesso. Israele poteva benissimo onorare l’arca e portarla sul campo di battaglia (1 Samuele 4), dicendo che in sua presenza tutto sarebbe andato bene per loro; ma questo non era il pensiero di Dio; perciò esso fu battuto dai Filistei, quantunque l’arca fosse stata trasportata nella mischia. Così Pietro e Tomaso vengono rimproverati, quantunque Gesù, antitipo dell’arca e sempre il Dio d’Israele, sia onorato da loro.

14. La gioia del Salvatore

Gli angeli si rallegrano del pentimento d’un peccatore, e la Parola ci dice che: «v’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede». È bello vederci rivelato questo segreto del cielo ed averne diverso illustrazioni come troviamo in Luca 15.
La gioia, quantunque sia in cielo, è pubblica; si manifesta per sé stessa e tutta la casa ne partecipa come se fosse una gioia comune. Ma c’è qualcosa di più: come c’è la gioia del cielo, c’è ancora la gioia del cuor di Dio. Troviamo la prima in Luca 15 e la seconda in Giovanni 4:27-32. Quest’ultima, non è necessario il dirlo, è la più profonda; è perfetta, silenziosa ed personale; essa non ha bisogno d’essere risvegliata e sostenuta da altri, ma vive d’una vita propria. «Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete», così si esprime il cuore di Cristo nel godimento di questa gioia, la quale non può essere partecipata da nessuno. Troviamo (1 Re 8:11) che i sacerdoti non poterono stare in piè per fare il servizio, perché la gloria riempiva la casa del Signore; vediamo che il Pastore, quando ebbe trovato la pecora smarrita, se la mise sulle spallo, provando una gioia tutta propria, non avendo ancor potuto comunicare la buona notizia ai suoi amici (Luca 15:4-6); vediamo in Luca 7 che la casa del Fariseo non era ancora chiamata a partecipare alla gioia del Salvatore, quando la donna Lo lasciò, come una felice peccatrice perdonata; qui in Giovanni 4 possiamo osservare che i discepoli sentivano la solennità del momento (versetto 27), ma che nessuno osò intromettersi in ciò che taceva il loro Maestro, e che se ne stavano in disparte silenziosi, mentre il grasso, la parte riservata all’altare (Levitico 7:31), il «cibo di Dio» (cf Numeri 28:2) era preparato. Questo fu un momento meraviglioso e non comune. La profonda ed inesprimibile gioia del cuore divino viene qui tracciata, come la pubblica gioia del cielo viene manifestata nel capitolo 5 di Luca.

15. Rinfrescato e riposato

Ma Colui che poteva essere così «nutrito», si trovò pure ad essere stanco, ad aver fame ed a soffrir la sete. Vediamo ciò in questo stesso capitolo 4 di Giovanni come nel capitolo 4 di Marco, con questa differenza però: che in Marco prende sonno per avere il necessario riposo, mentre in Giovanni può farne senza. E perché ciò? In Marco Egli aveva avuto una giornata faticosa, ed alla sera era stanco, come può esserlo la natura umana dopo il lavoro. «L’uomo esce all’opera sua e al suo lavoro fino alla sera» (Salmo 104:23); quindi il sonno lui è dato, per ridornargli le forze per compiere il suo servizio nel giorno successivo; e Gesù provò tutto ciò, Egli dormì su un guanciale nella barca. In Giovanni pure Egli è stanco, affamato ed assetato; siede sul pozzo come un viaggiatore affaticato, aspettando i discepoli che erano andati a comprar cibo nel vicino villaggio. Ma quando essi arrivano, trovano che il loro Maestro s’era già rifocillato e riposato; e ciò senza mangiare, senza bere senza dormire. La sua stanchezza aveva trovato un conforto che il sonno non può dare; Egli si sentiva felice per il frutto che aveva portato il Suo lavoro nell’anima d’una povera peccatrice. La donna fu rimandata nella libertà della salvezza di Dio. Ma in Marco 4 non essendovi una Samaritana come in Giovanni, Egli si riposa dalla Sua stanchezza sul guanciale.
Come tutto questo è vero e si può capire da noi! In Giovanni 4 il cuore del Signore era allegro, per così dire; mentre in Marco 4 c’era nulla che potesse rallegrarlo. La Scrittura dice (e la nostra esperienza conferma queste parole) che «un cuore allegro è un buon rimedio, ma uno spirito abbattuto fiacca le ossa» (Proverbi 17:22); ed è perciò che il Signore in un caso poteva dire: «Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete» e nell’altro usare un guanciale provvisto da una sollecitudine attenta ai suoi bisogni.
Come era perfetta in tutti i suoi particolari l’umanità che il Figlio aveva rivestito! — Si può dire con certezza che era l’umanità a noi comune, eccetto il peccato.

16. Egli sa fare distinzioni fra le cose che differiscono — 
      Non contaminato dalla sozzura

In tempi di confusione viene spesso la tentazione di rigettar tutto come se non vi fosse più alcuna speranza, e di considerare come inutile e senza scopo il distinguere le cose. Tutto è in disordine, si dice, l’aposiasia s’è impadronita dei cuori; a che giova fare delle distinzioni? Ma questo non fu il linguaggio del Signore: Egli si trovò nella confusione senza far parte di essa, come innanzi abbiamo detto che era nel mondo senza essere del mondo. Egli incontrò ogni sorta di persone che appartenevano ad ogni sorta di condizioni; schiere su schiere venivano compatte attorno a Lui, ma Egli seguì sempre la via stretta della dirittura e della santità. Le pretese dei Farisei, la mondanità degli Erodiani, la filosofia dei Sadducei, l’incostanza della moltitudine, gli attacchi degli avversari, l’ignoranza e la debolezza dei discepoli erano gli elementi morali in mezzo ai quali Egli doveva passare la Sua vita giornaliera.
Quindi tanto lo stato delle cose, come il carattere delle persone, esercitavano il cuor del Signore. Il denaro coniato da Cesare circolava nella terra di Emmanuele; il muro che separava il Giudeo dal Gentile era caduto in rovina; circonciso ed incirconciso, puro ed impuro, tutto era confuso, a meno che l’arroganza religiosa vi mettesse un ritegno secondo il suo modo particolare. Ma l’autorevole parola di Gesù manifestò la perfezione del Suo contegno in mezzo a tutto questo: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».
Nell’epoca della cattività di Babilonia, che fu pure un’epoca di confusione, il Rimanente fedele si comportò lodevolmente facendo una distinzione fra le cose che differivano, e non rigettandole come se non vi fosse più stata speranza. Daniele era ben disposto a servir d’interprete al re, ma non a mangiare il suo cibo; Neemia serviva volontieri nel palazzo del Sovrano, ma non avrebbe potuto sopportare che il Moabita o l’Ammonita entrassero nella casa di Dio; Mardocheo vegliava diligentemente sulla vita del re Assuero, ma non voleva per nessun conto inchinarsi per adorare Aman; Esdra e Zorobabel accettarono i favori del re di Persia, ma rifiutarono l’aiuto dei Samaritani lor nemici e condannarono il matrimonio coi Gentili; ed i poveri prigionieri pregavano bene per la pace di Babilonia, ma non volevano cantare i dolci cantici di Sion.
Tutto ciò è magnifico, nobile ed elevato; ed il Signore, nei Suoi giorni, fu perfetto anche in questo carattere del Rimanente. Anche noi viviamo in un tempo dove la confusione non è inferiore a quella v’era nei giorni della cattività d’Israele, o nei giorni di Gesù; quindi anche noi siamo chiamati ad agire nella presente scena, non come essendo senza speranza, ma col discernimento di saper dare a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio. — Ogni tratto della Sua bellezza morale diviene un modello per noi.
Ma Lo vediamo inoltre come Dio di fronte al male, prendendo un posto che certamente noi non potremo mai occupare. Egli toccò la lebbra, toccò la bara che serviva per trasportare un morto, e ciò senza contaminarsi, perché riguardava il peccato come lo riguarda Dio. Egli conobbe il bene ed il male ed esercitò sempre una divina supremazia su di essi, avendone una conoscenza divina. Se fosse stato altrimenti, il contatto della bara del morto e del lebbroso, Lo avrebbe contaminato, e Lo avrebbe obbligato d’abbandonare il campo per essere purificato secondo l’ordinanza della legge; ma così non fu di Lui. Egli non fu mai un Giudeo impuro; non solo non si è mai contaminato, ma non poteva contaminarsi. Ecco il mistero della Sua persona, che racchiude la perfezione dell’umanità unitamente alla divinità; e la tentazione era tanto vera, come gli era impossibile la contaminazione.
E qui fermiamoci un momento. Di fronte a simili verità, le quali, quantunque misteriose e profonde, ci sono però necessarie, il nostro dovere più che di discuterle ed analizzarle, si è di accettarle con vero cuore e di adorare Colui che ce le ha rivelate (*). È consolante il vedere delle anime semplici che lasciano l’impressione d’aver costantemente Cristo stesso davanti agli occhi loro. Spesso noi c’intratteniamo sulle verità in tal modo, che alla fine non ci resta se non un’amara convinzione che noi non corriamo verso Lui; e ci accorgiamo allora che abbiamo perduto il nostro tempo, errando sulla strada.
_____________________
(*) Prendo quest’occasione per dire che la morte di Gesù fu ciò che ha manifestato perfettamente la Sua gloria morale, di cui io parlo (Filippesi 2). Naturalmente so ch’essa fu molto di più; ma fra le altra cose, fu anche questo. 
¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
17. Perfetta dignità — Povero, ma arricchendo molti

Il Signore fu «povero, eppure arricchendo molti» — «non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa»; e ciò si vide in Lui in un modo affatto particolare. Egli accettò i soccorsi di alcune donne pie che Lo sovvenivano con i loro beni, e nello stesso tempo provvide ai bisogni di tutti coloro che Lo circondavano, come essendo il padrone dei tesori della terra. Ei poteva nutrire le moltitudini in un luogo deserto, e nello stesso tempo soffrire la fame, aspettando il ritorno dei Suoi discepoli che erano andati a comprare del cibo. Ciò vuol dire «aver nulla e possedere ogni cosa».
Ma quantunque fosse così povero, così bisognoso e così esposto alle sofferenze, non si scorge mai che abbia commesso la più piccola bassezza. Ei non chiese giammai l’elemosina, benché non possedesse un soldo; e quando ne abbisognò uno (Luca 20:20-26), non per sé, ma per vedervi il conio, chiese che glielo si mostrasse. Quantunque esposto a gravi pericoli, e minacciato nella propria vita, Egli non fuggì mai, ma si ritirava dal posto dove si trovava con cautela e dignità. Così non si può trovare in tutta la Sua vita un sol atto che non convenga a quella nobiltà di sentire e di operare, che continuamente Lo distinse, quantunque la povertà ed i pericoli fossero la sua parte quotidiana.
Chi potrebbe darci l’esempio d’un uomo così perfetto, così immacolato, così sensibile, così delicato, e così puro in tutti i più minuti particolari della vita? — Paolo non ce lo diede; e nessuno potrebbe darcelo, se non Gesù, il Dio fatto uomo. Le Sue particolari virtù spiegate nelle circostanze ordinarie della vita quotidiana, ci danno un’idea della maestà della Sua Persona. Per mostrare dei tratti d’una si squisita particolarità in una posizione sì comune, bisognava che fosse una persona singolare, bisognava che fosse l’uomo divino, se posso così chiamarlo; e Paolo, ripeto, non manifestò nulla di simile. È vero che ci fu in lui una gran dignità ed un’elevatezza morale non comune; ma il suo cammino non fu quello del Signore Gesù. Egli si trova in pericolo di vita, e cerca protezione presso un suo nipote; altra volta è perseguitato, minacciato, ed egli si lascia scendere dalle mura della città in una cesta. Io non dico che elemosinasse o chiedesse denaro, ma ammette d’averne ricevuto. Tacio che Paolo si sia dichiarato Fariseo in quella assemblea mista di Farisei e Sadducei (Atti 23) per cercare un appoggio nell’uditorio; e tacio pure come abbia parlato al Sommo Sacerdote che lo giudicava, poiché una simile condotta era manifestamente riprovevole; ma voglio soltanto alludere a quei casi nei quali Paolo, senza essere immorale, o senza agire propriamente male, si mostro di gran lunga al disotto di quella personale dignità che caratterizza la via di Cristo. Nemmeno la cosidetta fuga in Egitto, non può essere un’eccezione a questa regola, seguita costantemente da Gesù, poiché quel viaggio fu intrapreso per compiere le profezie, e sotto l’autorità d’un oracolo divino.
Tutto ciò non è soltanto una gloria morale, ma è veramente una meraviglia morale; — ed è prodigioso che la penna tenuta da un uomo abbia mai potuto tracciare simili bellezze! La cosa non si può spiegare diversamente, come fu già notato da altri, se non col dire che in tutto questo si tratta della verità, di evidenti realtà; e noi siamo costretti di riconoscere questa necessità benedetta.

18. Parole sempre a proposito

Continuando a discorrere su questo splendido soggetto, ci ritornano alla mente quelle parole scritte ai Colossesi 4:6: «Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno»; e le nostre parole dovrebbero essere tali, per far del bene agli altri, conferiscando la grazia a chi le ascoltano. Tuttavia, questo ha luogo spesso quando esse contengano ammonizione o rimprovero, od anche severità e fermezza; così sono condite con sale. Se le nostre parole riuniscono quelle rare qualità d’essere pronunziate con grazia e condite con sale, ci faranno rendere testimonianza che noi sappiamo come si deve rispondere ad ognuno.
Fra tutte le altre forme di perfezione morale, il Signore Gesù illustrò anche questa. Egli seppe come rispondere ad ogni suo interlocutore, in modo da far del bene all’anima sua, sia che le Sue parole fossero ascoltate, sia che si cercasse di evitarle; ma spesso avevano del sale, e ne avevano molto. Perciò alle domande che gli venivano fatte, Egli si proponeva non tanto di rispondere alla domanda stessa, quanto di colpire la coscienza e manifestare lo stato di colui che interrogava.
Nel Suo silenzio, o meglio nel rifiutarsi affatto di rispondere, quando si trovò innanzi ai Giudei ed ai Gentili alla fine della Sua carriera, sia di fronte ai sacerdoti come alla presenza di Pilato e di Erode, vi scorgiamo lo stesso contegno perfettamente conveniente, come abbiamo visto nelle Sue parole; testimoniando così, che tra i figli degli uomini ve n’era almeno Uno il quale sapeva discernere quando era «tempo per tacere» e quando era «tempo per parlare».
In tutto ciò il Signore Gesù presenta anche una grande varietà di modi o di maniere, le quali tutte fan parte di quella fragranza che saliva a Dio. Il Suo parlare ora era gentile, ed ora assumeva un aspetto severo ed uno stile dottrinale; talvolta Egli si metteva a ragionare volontieri, talvolta subitamente rimproverava; ed talvolta agì con calma, pur ragionando su certi punti da cui appariva una solenne condannazione, poiché era per il lato morale che Egli riguardava e pesava tutto.
Il capitolo 15 di Matteo mi ha colpito in un modo particolare, essenda quello in cui si può meglio vedere questa perfezione in tutte le sue svariate bellezze. Qui il Signore deve rispondere ai Farisei, alla moltitudine, alla povera donna cananea, ai Suoi discepoli ripetutamente, e mentre sono nel loro stato di ignoranza o di egoismo; e noi vi possiamo scorgere il Suo differente stile con cui rimprovera o ragiona, o mostra la calma, od insegna con pazienza, oppure ancora cerca di attirare a Sé con grazia, con fedeltà e con saggezza una povera anima che soffre. E nel leggere questi fatti noi non possiamo fare a meno di sentire che tutte queste varietà sono disposte per ordine secondo il richiedevano le circostanze.
Tale fu pure la bellezza del contegno che tenne in Luca 2, ove né insegna, né viene insegnato; ma ci viene semplicemente detto che Egli era là ascoltando e facendo domande. L’insegnare allora non sarebbe stato a proposito, poiché era come un ragazzo in mezzo ai suoi anziani; né il ricevere insegnamento sarebbe stato in armonia colla pura e gloriosa luce che Egli era conscio di portare in Sé, poiché noi possiamo dire di Lui che Egli aveva più conoscenza di tutti i suoi maestri, e più saggezza dei vecchi (Salmo 119:99-100). Non parlo qui di ciò che Egli era come Dio, ma di Colui che era «pieno di sapienza», e che seppe usarla secondo la perfezione della grazia. Ed è perciò che l’evangelista non ce Lo presenta fra i dottori nel tempio, all’età di dodici anni, né insegnando, nè imparando; ma ci dice semplicemente che era là ascoltando e facendo delle domande. Parlando della Sua adolescenza, la Scrittura ci dice: «E il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui»; e quando fu uomo compiuto, camminando attraverso questo mondo, il Suo parlare fu sempre con grazia, condito con sale, come Uno che seppe come si doveva rispondere ad ogni Suo interlocutore. Quale armonia di perfezione e di bellezza ci fu mai nei Suoi diversi stati di giovinezza e di età virile!

19. Perfetto nei piccolissimi dettagli

Ma oltre a ciò, noi troviamo il Signore Gesù in varie altre circostanze: — Talvolta Egli è sprezzato e schernito, spiato ed odiato dai Suoi nemici, fino ad essere costretto di ritirarsi per salvare la Sua vita dai loro tentativi e perfidi proponimenti. Altre volte noi Lo scorgiamo che è debole, seguito soltanto dai più poveri fra il popolo, spossato, affranto dalla fame e dalla sete; e debitore di cure di alcune donne pie, le quali sentono di dovergli ogni cosa. Ora Egli sta compiangendo la moltitudine con una bontà piena di tenerezza e di benevolenza; ed ora accompagna i Suoi discepoli nelle loro refezioni o nei loro viaggi, conversando con essi come un uomo farebbe con i suoi intimi amici. Qualche volta Lo vediamo ancora, comparire sulla scena con potenza ed onore, operando miracoli e manifestando qualche raggio della Sua gloria; e quantunque, sia nella Sua persona, sia nella Sua posizione, non avesse nulla al mondo, ma fosse il figlio d’un falegname, senza fortuna e senza istruzione, pure ottenne una tale agitazione tra gli uomini (e persino sulle idee dei grandi della terra), che nessun altro aveva ottenuta fino allora.
Ecco come passò l’adolescenza, la virilità e la intera vita umana del Signore Gesù!... — Oh se almeno il nostro cuore potesse comprenderlo meglio e dargli il primo posto! — V’è una tale perfezione nel tratteggiarne persino i minuti particolari, che ci mostra l’intervento d’una mano divina. E quale mano, se non quella guidata dallo Spirito Santo, avrebbe potuto dipingere il quadro di certe circostanze sì delicate e sì importanti, se lo Spirito Santo non avesse guidato la sua penna? — Chi, per esempio, per assicurarci che il Signore non possedeva un denaro, avrebbe parlato del tributo dovuto a Cesare, e della necessità per Gesù di doverne chiedere uno agli astanti? — E come l’importante questione del censo ci fa entrare nelle circostanze Suo speciali, così vediamo che la bellezza morale delle Sue azioni scaturisce dalla morale perfezione del Suo interno.
Nell’ora del Getsemane Egli disse ai Suoi discepoli di vegliare con Lui, ma non di pregare per Lui. Trovandosi nel momento della distretta, Egli desiderava ed apprezzava la simpatia dei Suoi compagni; ed avrebbe voluto che il loro cuore fosse stato strettamente legato al Suo. Un tale desiderio emanava da quella gloria morale della Sua perfetta umanità; ma nello stesso tempo che sentiva ciò; Egli non chiese loro che stessero alla presenza di Dio in Suo favore. Nella foga della Sua tenerezza ed amore, Egli avrebbe voluto che essi si fossero dati a Lui, ma non avrebbe preteso che essi si fossero dati per Lui a Dio: ecco perché li richiese che vegliassero in Sua compagnia, e non domandò le loro preghiere! È bensì vero che subito dopo unisce la preghiera al vegliare, ma allora parla in vista dei loro bisogni: «Vegliate e pregate», Egli dice, «per non cadere in tentazione». Paolo poteva ben scrivere ai suoi fratelli: «Cooperate anche voi con la preghiera [per noi]» (2 Corinzi 7:11). — «Pregate per noi; infatti siamo convinti di avere una buona coscienza» (Ebrei 13:18); questo però non fu il linguaggio di Gesù. Non è necessario che io dica che non avrebbe potuto esserlo; ma tutto ciò dimostra che la penna, la quale ci descrisse una simile vita e ci delineò un simile carattere, fu guidata dallo Spirito di Dio; e che nessuno, se non lo Spirito, avrebbe potuto scrivere così.

20. Egli dà gratuitamente

Gesù fece del bene ed imprestò senza speranza di riavere; la Sua destra non seppe mai cosa diede colla sinistra. Egli non sollevò mai delle pretese né sulla persona, né sul servizio di coloro che Egli aveva liberato o guarito; non riguardò mai il bene che operò come un titolo all’altrui gratitudine, ma, senza pensare ad altro, Egli amò delle persone umanamente spregevoli, guarì degli infermi cronici e salvò dei peccatori perduti. Egli non permise che l’indemoniato del paese dei Geraseni detto «Legione » lo seguitasse (Marco 5:18-19); guarì il fanciullo che era ai piedi del monte santo, e lo restituì a suo padre (Luca 9:42); lasciò la figlia di Iairo nel seno della sua famiglia; ridonò il figlio alla povera vedova di Nain; e tutto ciò senza pretendere nulla da essi. Forse che Cristo diede qualcosa affinché glielo si restituisse? Egli (il perfetto Maestro!) non illustrò forse lo Sue proprie parole: «Fate del bene, prestate senza sperarne nulla» (Luca 6:35). La natura della grazia è di dare agli altri, e non di arricchire sé stessa; e Gesù venne, affinché in Lui e nel Suo cammino la grazia potesse brillare in tutto lo splendore della gloria e delle ricchezze che le appartengono. Egli trovò dei servitori in questo mondo; ma non li guarì per poi tenerli soggetti; anzi li chiamò e diede loro dei doni. Essi erano il frutto dell’energia del Suo Spirito e delle affezioni accese in cuori vinti dal Suo amore; e mandandoli a predicare dice loro: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Matteo 10:8).
Certamente nei tratti d’un tale carattere vi sono delle cose superiori alla concezione dello spirito umano; ed ognuno ama ripetersi colla mento quegli aneddoti commoventi da cui fu penetrato, serbando un pensiero di ammirazione per quelle cose che gli appaiono splendide, ma che non sa spiegarsi. È consolante però aggiungere che alle volte questa gloria morale del Signore Gesù brilla sotto la più semplice forma, in modo che si rende intelligibile ad ogni sentimento e ad ogni simpatia del cuore umano.

21. Davanti alla fede debole e davanti alla fede ardita

Parimenti Egli non respinse mai la fede più debole, quantunque accettasse e rispondesse con diletto alle questioni della più alta importanza. La fede potente che gli si accostava con piena ed immediata certezza, senza fare tante cerimonie, era sempre la benvenuta; mentre quelle anime timide che si avvicinavano a Lui quasi con vergogna e come se avessero voluto scusarsi, erano incoraggiate e benedette. Le Sue labbra dileguavano in un istante quella nube che pesava sul cuore del povero lebbroso; «Signore,» dice questi, «se vuoi, tu puoi purificarmi». — «Lo voglio, sii purificato» rispose Gesù, e la lebbra si diparti da lui. Subito dopo le stesse labbra mostrarono la pienezza che c’era nel Suo cuore quando vide la testimonianza della fede chiara ed esplicita che c’era nel centurione Gentile, e quando la fede ferma e piena di zelo d’una famiglia in Israele scopre il tetto della casa dove Egli era per scendere il suo ammalato dinanzi a Lui.
Ogni volta che s’indirizzò a Lui una fede debole, Egli concesse sempre la benedizione richiesta, ma biasimò colui che la richiedeva in tal modo. Però anche questo rimprovero è pieno di consolazione per noi, poiché sembra voglia dire: «Perché non faceste uso di me con maggior libertà e con una più grande felicità?» Se noi valutassimo tanto il donatore quanto il dono ricevuto, il cuore di Cristo come la Sua mano, questo rimprovero d’una debole fede ci sarebbe così prezioso come lo fu la risposta che diede ad essa.
E se una fede debole venne così rimproverata, una fede robusta gli fu molto gradita. Quindi possiamo farci un’idea quale graziosa vista fosse per il Signore il vedere quella comitiva, già innanzi menzionata, che scuopre il tetto della casa per avvicinarsi a Lui. Io sono certo che fu proprio un grande spettacolo agli occhi del divino e generoso Gesù; sono certo che il Suo cuore fu penetrato da una simile azione, come la casa di Capernaum fu penetrata da gli autori di essa.

22. In contatto con la miseria del cuor umano

Vediamo nel nostro Redentore che la gloria è mista all’umiltà; e noi abbiamo bisogno e dell’una e dell’altra. Colui che sedette sul pozzo di Sichar è quello stesso che ora siede lassù nel cielo; Colui che salì in alto è anche quello che scese nel più basso della terra; in Lui c’è la dignità mista alla condiscendenza; Egli è là che siede alla destra di Dio, mentre un giorno ora qui chino verso terra per lavare i piedi dei Suoi discepoli. Quantunque vestito della nostra povertà, non perdè nulla della Sua grandezza; e benché fosse glorioso, immacolato e perfetto in Sé stesso, pure non gli mancava niente per servirci.
L’egoismo viene vinto dallo sforzo e dall’importunità, come leggiamo in Luca 11:8: «Io vi dico che se anche non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunità, si alzerà e gli darà tutti i pani che gli occorrono». Così avviene fra gli uomini, ove l’egoismo predomina; ma non è così con Dio o con l’amore; ed una prova di ciò l’abbiamo, appunto in Isaia 7, ove Dio è in opposizione all’uomo presentatoci nel capitolo 11 di Luca. Là c’è l’incredulità che stanca Dio rifiutandosi di chiedere una benedizione e di riceverla col suggello d’una testimonianza esteriore; in Luca invece è l’insistenza nel chiedere che stanca l’egoismo e l’indifferenza dell’uomo. Qui c’è l’importunità; in Isaia invece, ciò che stanca è, per così dire, la mancanza di essa. E tutta questa divina bontà che vediamo nell’Eterno verso la casa di Davide, si ripete nel Signore Gesù Cristo negli Evangeli e nelle sue molteplici forme, sia nei riguardi d’una fede debole come nei confronti d’una fede compiuta.
Tutte queste cose che noi siamo capaci di scoprire, ci parlano delle Sue perfezioni; ma in che piccola proporzione noi ci arriviamo a farlo!
Noi sappiamo bene tutti in quanti modi diversi i nostri fratelli ci provano e ci tentano, come, senza dubbio, noi facciamo verso loro; ed ogni volta che ciò avviene, ci sembra sempre di vedere delle cattive qualità in loro, dei pessimi difetti da rendere impossibile il camminare insieme. Ma in tutto ciò, o per lo meno in gran parte, il torto è sempre dalla nostra, poiché generalmente non usiamo verso noi lo stesso discernimento che si usa nel giudicare qualcosa che è riprovevole in loro.
Ma il Signore Gesù non s’ingannò mai in tal moclo, né poteva ingannarsi; quindi non fu mai «vinto dal male, » ma «vinse sempre il male con il bene». — Egli vinse sempre il male che v’era nei Suoi discepoli col bene che v’era in Lui. La vanità, il cattivo carattere, l’indifferenza per gli altri ed ogni cura per loro stessi, l’ignoranza che mostravano dopo tante fatiche per istruirli, erano tutte cose in mezzo alle quali il Signore dovette continuamente soffrire.
Il Suo cammino quaggiù fu un tempo d’«irritazione» come lo furono i quarant’anni nel deserto. Israele tentò l’Eterno di bel nuovo, per così esprimersi; ma di bel nuovo esperimentò ciò che Egli era. Consolante a dirsi: essi lo provocarono e lo tentarono, e per la loro provocazione, metterano in evidenza ciò che Egli era. Egli soffrì, ma lo fece con pazienza, e non gli abbandonò mai; gli esortava, gli insegnava, li rimproverava e li condannava, ma non si dipartiva da loro; anzi, alla fine del loro cammino, Egli è più vicino che mai.
Come è bello ed incoraggiante per noi tutto questo! — L’azione che esercita il Signore sulla coscienza non offende mai il cuore; e non si perde mai nulla dai Suoi rimproveri. Ed Egli, che non si allontana da noi mentre mette in esercizio la nostra coscienza, è pronto a ristorare le nostre anime, e far sì che i nostri cuori possano godere di nuovo di quella beata libertà di cui si gode alla Sua presenza.

Vorrei notare inoltre che nel manifestare i diversi caratteri che durante il Suo ministero fu chiamato a rivestire (fosse anche per un sol momento), vi troviamo la stessa perfezione, la stessa gloria morale, come nella Sua vita giornaliera. Vediamo ciò, per esempio quando Egli appare come Giudice in Matteo 23, o come Avvocato in Matteo 12; ma non faccio che indicare un tale soggetto, poiché il tema è troppo vasto. Ogni passo, ogni parola ed ogni azione trae con se un raggio di questa gloria; e l’occhio di Dio trovò maggior soddisfazione nella vita di Gesù, di quello che avrebbe potuto avere in una eternita d’innocenza adamitica. Fu nel mezzo della nostra morale ruina che Gesù camminò; ed è da una simile posizione che Egli fece salire a Dio un più ricco sacrificio di odor soave, di quello che avrebbe potuto salire dall’Eden, e che l’Adamo dell’Eden, fosse ben rimasto innocente per sempre, avrebbe potuto offrire.

Continua nella 2a parte...