sabato 30 novembre 2019

Le lezioni della vita di Daniele per noi oggi


Le lezioni della vita di Daniele per noi oggi


I caratteri dei testimoni di Dio — Attivi come stranieri

Vi sono poche lezioni più utili di questa; non che la no­stra situazione sia identica alla loro; essi ubbidivano a Dio come Giudei sotto la legge, mentre Cristo ci ha mes­si nella libertà. Di fronte al mondo anche noi siamo stranieri, però non perché la Chiesa è schiava come lo era il popolo giudeo; non potrebbe esserlo in quanto è celeste, e il nostro diritto di cittadinanza è nel cielo. Noi portiamo quaggiù il nome di un Sovrano respinto dal mondo ma che, ben lontano da essere vinto, è un vincitore glorifica­to nel cielo e che presto regnerà sulla terra. Noi non ab­biamo da appendere le nostre cetre ai salici dei fiumi di Babilonia e da rifiutarci di cantare i canti di Sion su una terra straniera (Salmo 137). Anzi, fin da quaggiù inco­mincia l'inno che canteremo nel cielo!
È pur vero che la nostra mancanza di fedeltà ha attira­to il giudizio sulla casa di Dio, su questa cristianità che ha profanato il vero cristianesimo; ma le porte dell'ades non potranno vincere la Chiesa del Signore.
È anche vero che noi viviamo nel «tempo delle nazioni» (Luca 21:24) che va da Nebucadnetsar fino al ritorno del Signore per prendere la Chiesa, ma né la nostra spe­ranza né la nostra condizione sono quelle di un Israele schiavo. Cristo aspetta che i suoi nemici gli siano sotto­messi; verrà a prenderci e noi saremo manifestati con Lui in gloria. Nel frattempo, Satana, benché vinto alla croce, domina oggi nel mondo da usurpatore.
Tutto ciò dà alla nostra posizione di stranieri dei carat­teri particolari. È come testimoni di Colui che Dio ha fatto «Signore e Cristo» che noi siamo in un mondo votato al giudizio, di cui la distruzione di Babilonia non e che una pallida immagine. Noi dobbiamo sottometterci alle autori­tà stabilite da Dio e lavorare per il bene e la pace, pre­gando per loro e per la conversione delle anime.
Ma, nonostante queste differenze, anche noi dobbiamo, per assolvere al compito che Egli ci ha assegnato quaggiù, prendere la risoluzione, come Daniele, di non conta­minarci con le vivande del re e col vino ch'egli beve. Sono le cose di questo mondo, che portano il suggello del suo capo, Satana, che le dispensa. Rispondono bene alle concupiscenze del cuore e nutrono «la carne». Discer­nerle e respingerle sembra essere sempre più difficile, man mano che lo spirito degli «ultimi giorni» guadagna terreno. Più che mai, i nostri cuori devono essere conqui­stati dalle affezioni celesti e le nostre coscienze essere delicate e sensibili.

E i doveri terreni?

Come si comportano i giovani credenti che, simili a Da­niele e ai suoi amici, sono ai loro primi contatti personali col mondo? Devono pur istruirsi per imparare un mestiere: non si può lasciare la mente incolta né le mani senza educazione. Sarebbe farne degli incapaci, incoraggiare il fatalismo, la superstizione. Quello che conta, però, è che tutto sia ricevuto come proveniente da Dio, con ringrazia­mento e in vista di servire Lui, qualunque sia il lavoro che si dovrà fare. «E a tutti questi quattro giovani Iddio dette conoscenza e intelligenza in tutta la letteratura, e sapienza» (v. 17), mentre preparava Daniele alle rivelazioni dall'alto.
I doveri terreni, siano essi famigliari, professionali o ci­vici, offrono sempre al credente l'occasione di onorare il suo Signore, se sono assolti con Lui, per Lui, in preghie­ra e con ringraziamento. Tutto ció che non può essere fatto in comunione col Signore e dandogli il posto che gli spetta, è una «contaminazione». Quanto più lo è tutto ciò che occupa una così larga parte della vita di questo mondo, alla ricerca del piacere, della ricchezza, del pre­stigio personale! Il nome di Dio può trovarsi abbinato a queste cose, ma audacemente adoperato «invano»! Non è qui che il credente pio ha il suo posto, né potrà mai trovarsi a suo agio, anche se imbavagliava la sua co­scienza.
«Noi sappiamo che siam da Dio, e che tutto il mondo giace nel maligno» (1 Giov. 5:19).

La vita di Dio si manifesta con la rinuncia «all'empietà e alle mondane concupiscenze»

Per avere un sano giudizio sulle cose abbiamo bisogno della Parola di Dio, lampada al nostro piede, e della pre­ghiera che ci mette in relazione con Dio. Ma esse sono efficaci solo per mezzo dello Spirito Santo, senza il quale si cade nella routine formalistica. Sarebbe insensato co­stringere uno che non ha la vita di Dio ad astenersi dalle cose del mondo; ma se la vita c'è, deve manifestarsi con la rinuncia «all'empietà e alle mondane concupiscenze» (Tito 2:12).
Per noi il problema non sta nel distinguere tra alimenti materiali (Col. 2:21-22, Rom. 14:14, 1 Cor. 10:25) per­ché non siamo sotto la legge. Ma Cristo è morto «affin­ché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito» (Rom. 8:4). Quello che piace alla carne contri­sta lo Spirito; ma il nutrimento spirituale, cioè Cristo stesso, sprezzato dal «vecchio uomo», fa le delizie del «nuovo»; esso dà salute all'anima del credente, mentre le vivande del re lo ripugnano.
L'ipocrisia del mondo ammette che vi siano dei piaceri che degradano, ma nello stesso tempo propone piaceri grossolani, traendo profitto da letteratura e spettacoli im­morali. Ma, altre cose sono proposte al credente; i sensi, l'immaginazione, i sentimenti, l'intelligenza, sono solleci­tati. L'arte, la scienza, la tecnica, il pensiero politico, più che mezzi di evasione servono per piacere a sé stessi e superare gli altri. Adulato ma volto verso le «vanità bu­giarde» il vecchio uomo crede di elevarsi, ma in realtà si innalza contro Dio. Si sforza di coprire la sua nudità, e di stordirsi per non pensare né alla sofferenza né alla morte né all'al di là ed essere felice senza Dio. Le vivande del re sono offerte dallo stesso tentatore che diceva: «Voi sarete come Dio»!

Trasformare il mondo?

Alcuni si illudono di poter piegare poco a poco il mon­do al pensiero di Dio; non è compito nostro. Ci vorrà la verga di ferro del Pastore delle nazioni per ottenere, al­meno, una sottomissione apparente. «Noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio»: facciamone una realtà pratica. Rifiuta­re le vivande del re è il segreto per essere il sale della terra e la luce del mondo. La frontiera col mondo sarà sempre «la croce del Signore nostro Gesù Cristo, me­diante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso, e io sono stato crocifisso per il mondo» (Gal. 6:14); essa è tracciata nel cuore secondo il posto che Cristo vi oc­cupa.

Gesú ci benedica